Storia di Milano di Pietro Verri

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      CAPO NONO 27 1
      concordia momentanea che si fece fra i partiti nel I2o5 si stabilì che: Nulli bonis suis interdi-caturj nisi causa cognita, et probata communi, Potestati Mediolanij vel Rectoribus Communitatis, ut leges desiderant (1); legge la quale supponeva un disordine universale ed essenzialissimo. Il potere del podestà era, siccome dissi, assoluto e dispotico. Egli faceva leggi, e le faceva eseguire: Dico, jubeo et statuo perpetuo firmiter observari, sono le frasi che adoperavano i podestà, e ne abbiamo la memoria in una legge di Oberto da Yialta bolognese, podestà di Milano nel 1214-
      Questo vizio interno (che accendendo una guerra intestina sbandiva realmente la forma repubblicana dalla città, e la costrigneva a rifugiarsi nel dispotismo per l'impossibilità di reggersi) nasceva, a mio credere, per colpa de' nobili. Il dominare; l'innalzarci sopra i nostri fratelli, il dimenticare persino che lo sono, è cosa naturalissima all'uomo ; ma la plebe milanese non poteva sopportare P orgoglio de' nobili, nè i Valvassori quello de' Capitani. Sappiamo quante inquietudini provò la Repubblica di Roma per l'impazienza del popolo, e quante guerre dovette intraprendere per allontanare la plebe dalla città. I nobili di Roma avevano nelle loro mani gli Auguri, gli Aruspici, e tutte le forze del culto religioso; eppure il partito popolare finalmente scoppiò, rovesciò la Repubblica, innalzò Cesare, e creò i primi imperatori, i quali colla rovina de' nobili pagavano le largizioni e gli spettacoli per favorire la plebe. Il povero ed il plebeo d'Italia sentono di avere inen potere che non ha il ricco ed ii nobile; ma persuasi che gli uomini sono d'una specie sola, si
      (i) Corto, pag. 59, ediz. in loglio.


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Storia di Milano
Tomo Primo
di Pietro Verri
Società Tipogr. de' Classici Italiani
1824 pagine 585

   

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