Storia popolare di Genova di Mariano Bargellini

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      « ma alla C orsica nel Mediterraneo, a Tasso, Metellino, Scio, nell'Arcipelago, • a Famagosla nell' isola di Cipro, e finalmente ad Amissa, Caffa e la « Tana nel Mar Nero. »
      Dopo il Guano, prese a parlare Giovanni Serra capo della deputazione dei nobili anch' esso dottore in legge, e stato già ambasciatore al re d'Inghilterra, come il suo collega lo era stato presso Carlo VII di Francia. Il Serra dopo avere fatto F encomio delle militari gesta del Duca, gli faceva osservare, quanta gloria fosse nel rendere la quiete e nel far felici i cittadini di una repubblica cosi agitata, e quanto il merito ne fosse maggiore: imperocché i vantaggi ottenuti in altro modo e specialmente in guerra, dipendessero in gran parte dalla fortuna, ma nell' amministrare saviamente
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      uno stato e nel render felice, un popolo tutta la gloria apparteneva al principe. Ricevesse adunque con lieto animo lo scettro di una nobilissima Re-pubblica, ricevesse'lo stendardo che avea sventolalo sopra tante vittorie, e le chiavi ed il sigillo con cui si solevano improntare le lettere pubbliche. Finalmente pigliasse ed accettasse con la fedeltà e la devozione degli animi loro, ogni giurisdizione, ogni autorità e possanza sopra tutto il dominio della Repubblica.
      Il Duca Francesco dopo avere lietamente ricevuto ciò che gli era presentalo dagli ambasciatori, dato lo stendardo a Galeazzo, le chiavi a Filippo, ed il sigillo a Sforza Maria suoi figli, e ritenendosi per sè lo scettro, rispose con acconcie quantunque improvvise parole agli ambasciatori genovesi. Essergli cari i sentimenti espressi dalla nazione ligure per mezzo dei suoi deputati; la vicinanza dei due paesi e la quasi comunità d'interessi prodotta da questa ciscostanza, averlo sempre reso propenso alia buona o rea fortuna della Repubblica; per il chè non ad accrescimento di potere o di ricchezze avere esso accettata la signoria di quella, ma sibbene per renderle utile. Pensassero i Genovesi alla concordia ed alla ubbidienza, esso si darebbe cura di provvedere alla ulilità e felicità loro: più padre che Signore lo avrebbero sperimentato. Le lodi con cui lo avevano esaltato doverle attribuire più che ai meriti suoi alla benevolenza loro, in ogni caso tutlociò che era in lui di virtuoso e di degno non riferirlo a sè stesso ma a Dio. Dopo questi discorsi i deputali giurarono di mantenere fedeltà al Duca ed ai suoi successori in perpetuo, e F assemblea si sciolse.
      Ci siamo trattenuti un poco su i particolari di questa ambasceria, per
     
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Storia popolare di Genova
dalla sua origine sino ai nostri tempi (Volume Primo)
di Mariano Bargellini
Enrico Monti Genova
1856 pagine 607

   

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