Storia popolare di Genova di Mariano Bargellini

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      nobili e popolari della città: duegenlo cittadini di ogni ordine e di ogni colore gli dovevano accompagnare. Recavano seco come emblemi del potere che andavano a conferire, lo scettro ducale, lo stendardo di S. Giorgio, i sigilli dello stato e le chiavi della Città.
      I ricevimenti fatti a questa solenne deputazione della cittadinanza genovese dal Duca, furono splendidi oltre ogni credere. Appena Francesco seppe che si avvicinavano, mandò loro incontro tutti e sei i proprii figli, i magistrati di Milano, i Senatori e gran numero di nobili, vestiti tutti con i loro abiti di funzione, e con tutto lo splendore del lusso, per cui la corte degli Sforza andava allora distinta sopra ogni altra d'Italia.
      Essendosi la comitiva milanese riunita a quella dei nuovi ospiti, entrarono i deputati in città in mezzo ad una immensa moltitudine di popolo accorsa allo spettacolo, ed andarono a fermarsi al palazzo già edificato dal Carmagnola, ora assegnalo loro per dimora. Dopo tre giorni il Duca ricevè F ambasceria entro il gran cortile del Palazzo.
      A destra, sopra un banco più elevalo, sedeva Francesco Sforza con la Duchessa Bona ed i figli; a sinistra, un poco più basso, erano i seggi dei deputati genovesi, ai quali seguitavano quelli del Senato, della magistratura e della nobiltà lombarda. Grande quantità delie più elette donne della città, assistevano a questo ricevimento. Primo a prender la parola fu Battista di (ìuauo capo della deputazione popolare il più reputato leggista che allora avesse Genova. In mezzo al silenzio ed alla aspettativa universale, aumentata dal contegno grave e solenne della ambasceria genovese, il Guano incominciò la sua orazione, compiacendosi della buona fortuna della sua patria, la quale, mentre la discordia e la tirannide P aveano ridotta in cosi basso stato, aveva potuto incontrare la benevolenza e la protezione di un principe il più degno in tutta Italia e F Europa di governare una città libera. Giacche una Repubblica tanto potente, era costretta per gli odii civili e per la discordia dei suoi cittadini, à confidare a lui, il governo e Famministrazione suprema di se stessa, speravano i Genovesi che Francesco Sforza gli avrebbe retti con quella clemenza ed equità che la fama vantava di lui. t Se tu, osservando le regole che ti sono imposte, (conchiudeva il « Guano) governerai la Repubblica in modo corrispondente alla tua virtù, « oltre alla gloria di averci restituita la quiete e la concordia, avrai aumentala straordinariamente la tua potenza, estendendola non pure alla Liguria
     
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Storia popolare di Genova
dalla sua origine sino ai nostri tempi (Volume Primo)
di Mariano Bargellini
Enrico Monti Genova
1856 pagine 607

   

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