Storia fiorentina (volume 9) di Benedetto Varchi

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      212 storia fiorentina. [1529-1530]monsignore di Nanson, il quale non avendo la lingua italiana, rispose che appena fu inteso, che desiderava di far piacere alla città, ma dovendosi partire, non vedeva modo di poterlo fare, e soggiunse, che essendo il papa de'loro, non pensava vi bisognasse molta intercessione. Il commendator maggiore di Leon Covos spagnuolo, quale vicitarono alli ventisette, rispose loro risolutamente, che bisognava convenire con Sua Santità, e che cosi era la mente di Cesare. Il confessoro, il quale si distese lungamente rispondendo loro, che la Maestà Cesarea aveva fatto consigliare questa causa e la teneva giusta, e tanto più dicendolo e persuadendolo a questo il vicario di Cristo; che si doveva presumere che Sua Santità non proporrebbe cosa che non fosse da fare; e poi, che avendogli Cesare promesso, non poteva mancare di fede, il quale lui sapeva eh' era quanta fede era nel mondo. Disse ancora, che la città per avere fatto contra l'imperadore era caduta da' suoi privilegi, e che essendo ricaduta all' imperio, poteva giustamente seguitare nell' impresa ; e asseverava tutte queste cose con un viso fermo, e con atti, che pareva eh' egli le credesse come le diceva. E cosi, essendo stati piuttosto beffati come mercatanti, che onorati come ambasciadori, e anzi rimandatine che licenziati, se ne tornarono agli sette di febbraio senza conchiusione nessuna a Firenze Andreuolo e Luigi, perchè Ruberto essendo malato, si rimase in Bologna in casa de' Foscolari. Il qual Ruberto quando tornò ebbe delle fatiche a giustificarsi d'alcune parole che gli aveva commesso il papa che dicesse al gonfaloniere solo; nè so se io mi debbia dire fra tante particolarità quello che allora si disse essere avvenuto, cioè che per commessione di Clemente fu smattonato e scoperto il palco della camera, nella quale abitavano gli ambasciadori, per potere udire quello che tra loro ragionassero.
      XI. Mentrechè gli oratori erano in Bologna piuttosto uccellati, che uditi, Francesco re cristianissimo sollecitato da' continui preghi del papa e dell' imperadore, mandò a Firenze monsignore di Claramonte, in nome, per iscusarsi dell'accordo fatto con Cesare senza incfiiudervi, contra le sue promissioni, i Fiorentini, e per confortargli a doversi


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Storia fiorentina (volume 9)
di Benedetto Varchi
Felice Le Monnier Firenze
1858 pagine 464

   

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