Storia fiorentina (volume II) di Benedetto Varchi

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      libro undicesimo 159
      Che tutto il dominio e terre acquistate dal felicissimo esercito abbiano a tornare in potere della città di Firenze.
      Che r esercito, pagato che fia, s'abbia a levare e marciare fuora del dominio, e dal canto di nostro signore e sua maestà si farà ogni provvisione possibile di pagare detto esercito , e quando non si possa levare fra otto dì, si promette dar vettovaglie alla città, dopo dati gli ostaggi, e seguito il detto giuramento.
      Che nostro signore, suoi parenti, amici e servitori si scorderanno e perdoneranno e rimetteranno tutte l'ingiurie in qualunque modo, e useranno con loro come buoni cittadini e frategli, e sua santità mostrerà ( come sempre ha fatto ) ogn' affezione, pietà e clemenza verso la sua patria e cittadini ; e per sicurtà di quella e dell' altra parte. promettono sua santità e sua maestà 1' osservanza del soprascritto, ed obbligasi r illustrissimo signor don Ferrando Gonzaga, e in suo proprio e privato nome di fare e curare con effetto, che sua maestà ratificherà nel tempo di due mesi la presente capitolazione, e Bartolommeo Valori promette anco in suo nome proprio, che sua santità ratificherà in detto tempo quanto ha promesso.
      Che a tulli i sudditi di sua maestà e di sua santità si farà generale remissione di tutte le pene in che fussono incorsi per conto di disubbidienza deir essere stati al servizio della città di Firenze nella presente guerra, e si restituiranno le patrie loro e i beni. »
      Fu rogato da ser Martino di messer Francesco Agrippa cherico e cittadino milanese, e da ser Bernardo di messer Giovambatista Gambetti notaio e cittadino fiorentino, e 1' illustrissimo signore Giovacchino de Rie signor di Balanzone intervenne dopo don Ferrando per sua maestà cesarea. Di tutte queste convenzioni non solo non ne fu osservata nessuna per la parte dì Clemente, ma di ciascuna ( come apparirà di sotto ) fu fatto il contrario. Era appena compilo di rogarsi il contratto, quando messer Giovanni di messer Luigi della Stufa, mandato dal papa con gran fretta arrivò, e inleso degli ottantamila scudi, cominciò fortemente a scandalezzarsi e gridare a testa, che il papa non istarebbe contento a dugentomila ; nè si dubita che se egli fusse giunto un poco prima, l'accordo, ancoraché conchiuso, o non andava innanzi, o si sarebbe cresciuta la quantità del danaio.
      Questo giorno cominciarono a venire di que' di fuora dentro, ma più di quegli di dentro fuora; ma perchè questi, sfornivano la piazza di grasce, fu mandato un bando nel campo, che tra quattr' ore dovessero avere sgombrato tutti, sotto pena di potere essere svaligiati e uccisi : ma era si grande in Firenze la carestia di tutte le cose, che molti, chi con un mezzo e chi con un altro, si mettevano a quel rischio,
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Storia fiorentina (volume II)
di Benedetto Varchi
Borroni e Scotti Milano
1846 pagine 476

   

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