Firenze vecchia di Giuseppe Conti

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      tando anche un discreto numero di servitori per tenere indietro i curiosi, che si sarebbero avvicinati tanto da impedir a quei signori perfino di mangiare.
      Anche la Corte andava « di prima mattina » alle Cascine a far la consueta colazione al Casino - ossia al Palazzo - e quindi tornava in Firenze e si recava in Duomo alla messa solenne.
      Molti tra i più morigerati ritornavano in città verso mezzogiorno portando la gabbia col grillo, stanchi e rifiniti come se fossero stati in capo al mondo. Ma a quella stessa ora, le tavole nei prati e nei boschetti eran prese d'assalto da una folla di gente che desinava, non potendo più frenare 1' appetito eccitato in loro dalla fragranza di quei tegamoni d'agnello, che mandavano un odore da far venir Xacquolina in bocca.
      La scena più caratteristica e curiosa, era quando i frati di Monte Oliveto, dall' altra parte dell'Arno uscivan sul prato, e di lassù davan la benedizione a coloro che eran a mangiare sull'erba. Molti che li scorgevano s'inginocchiavano, e dopo benedetti bevevan come spugne.
      A mezzogiorno le stupende, le fantastiche Cascine parevano un grandissimo accampamento: l'effetto di tutta quella gente seduta alle tavole all' ombra dei secolari frassini, degli olmi antichi e delle quercie; e delle brigate attorno alle tovaglie stese per terra, che mettevan la nota stridente del bianco fra quel verde cupo e a quel mezzo buio del bosco, era d' un effetto novissimo, e tale che non ci s'immagina.
      Per 1' immenso spazio si sentiva un ciarlare, un ridere, un chiamare, un questionare da non averne idea. Era un frastuono che si udiva da lontano.
      Molti che avevano alzato un po' il g-omito, si sdraiavano sull'erba e dormivano meglio che a letto, mentre altri cantavano, o improvvisavano, o facevano all'amore, o raccontavano i fatti degli altri, dicendo male di quanta gente conoscevano, come avviene dovunque, perchè tutto il mondo è paese.


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Firenze vecchia
Storia - Cronaca - Aneddotica - Costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 702

   

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