Firenze vecchia di Giuseppe Conti

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      Quaresima 5i7
      in una volta se '1 trangugiò. Fu scoperto alla Mozzalingua - la maggiorente delle fate - la quale in breve processatala, la condannò ad esser segata viva; e benché le fate le ad-domandassero in dono la vita di lei, non vi fu modo a scamparla dalla mala ventura. Venuta dunque la mattina che ella doveva morire, chiese a coloro che a guastar la menavano, acciocché ella non fosse riconosciuta, che di alcuna cosa la volessero trasfigurare: i segatori tolta la spugna e tuffatala in quel calamaio dove dovevan tinger le corde per far la riga e segarla direttamente, le fregarono il viso, e un vestire che pareva da monaca, indosso le misero; e poscia, fattale una tacca, i denti appiccativi della sega, segarono lei e chi le era in corpo in un medesimo tratto, senza niuna misericordia ; e da quell' ora in qua ogni anno nel dì della mezza quaresima i fattori - ossia i fattorini, i ragazzi - delle nostre botteghe, in memoria di tanto caso, fregate lor berrette al cammino o alla padella, si tingono l'un l'altro la faccia, come vedete, e nel luogo che forse per questa cagione è chiamata la Piazza Padella, rinnuovano il doloroso spettacolo in un' immagine di legno, che a similitudine di quella vestita, chiaman la monaca; come tu (portando la tua scala in spalla) debbi a guisa, come molti fanno, più volte essere andato a vedere. »
      Di tutto questo, non rimase che l'uso d'attaccare dietro alle donne una scala di foglio : e non c' era pericolo, come non c'è oggi, che i ragazzi di Firenze, così rompicolli, se ne dimenticassero. Era una vera cuccagna per essi il giorno di mezza quaresima. A branchi di dieci o dodici se ne stavano appiattati dietro una cantonata o ai crocicchi delle strade, anche centrali, ma specialmente in Mercato Vecchio, nei Camaldoli di San Lorenzo e nei quartieri più poveri, con la scala pronta in mano, il suo bravo spillo piegato per far più presto ad attaccarla, incitati dai ragazzi grandi delle botteghe che ci si divertivano senza fine, perchè si rammentavano di quando essi stessi facevano quel bel lavoro, che non di rado fruttava loro una bella labbrata.
      34. — Conti.


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Firenze vecchia
Storia - Cronaca - Aneddotica - Costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 702

   

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