Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      libro u ua11to.
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      talvolta ponevano gli uomini delle loro terre in condizioni tali da 11011 portare invidia ai cittadini delle città meglio costituite. A ciò li persuadeva — giova ridirlo — la potentissima necessità di quei tempi, ne' quali i liberi comuni, che nel maggior numero d'uomini atti a difendere le patrie mura vedevano la propria sicurtà e la grandezza futura, s'erano fatti siccome centri d'attrazione, invitando con cento modi gli abitatori delle circostanti campagne, 1 i quali vi accorrevano per porre in salvo la vita e gli averi, e godere all'ombra del venerato gonfalone del comune la voluttà del sentirsi liberi.
      XIX. Chiedo scusa ai miei lettori se gli ho condotti lungo il campo arido e sterposo de'municipali statuti dello italico paese. Non essendo possibile adattare le loro peculiari e differenti costituzioni dentro forme più ampie e generali, senza cadere nel fantastico, mi sia dato sperare che le coso fin qui discorse servano perchè si possa con buona ragione supporre, che, per quanto gli ordinamenti politici de'nostri comuni, poco avanti o poco dopo la pace di Costanza, differissero nei parti Nomo abitafor Montiscalvi capi debet antequam judicetur : ac si judicatus fuerit capi non debet si fidejussorem dare potuerit, preter in gravioribus cul-pis de quibus corporaliter judicatur. Insuper nihil in codem Castro sine judi-ciò capi debet. Nec alicui ipsins Castri de ledo seu hospitio vis aliqua debet inferri. »
      1 Imola nel -1221 promise la quinta parte degli ufficii a quei del Castello Jmolese che fossero andati ad abitare in città. Bologna nel -1224 prometteva la immunità agli stranieri, e la concessione del consolato ad ogni venti famiglie che fossero andate a formare villa o castello nel territorio bolognese. E per tacere di tanti altri csempii, Milano nel -1211 promulgò un editto col quale dava libertà a chiunque de'contadini o borghesi di stabilirsi dentro la città* ed in premio di ciò rimarrebbe esente da ogni gravezza rurale, e godrebbe di tutti i privilegi di cittadino; con l'obbligo però di abitare in città con tutta la famiglia per trent' anni, tranne il tempo del ricolto, che durava sei settimane; a patto che non lavorasse con le proprie mani la terra, e non fosse colpito di bando, Giulini, l'ar. VII, lib. 49. Nè la mitezza del governo dei fendatarii bastava per impedire che gli abitanti delle campagne accorressero alle città. Che anzi questa emigrazione cresceva tanto che i baroni appiglia-vansi allo espediente di venderò le loro terre ai comuni Fra i moltissimi esempi che potremmo addurre, rammenteremo che nel 1275 i conti Guido Guerra « Ruggiero figli di Marcovaldo conto palatino venderono alcune castella ai Fiorentini. Il Conte Simone figlio del Conte Guido e Guido suo figliuolo diventarono guelfi e fermarono patti coi Fiorentini. Nel 4 253 il conte Guido Novello vendè agli stessi Fiorentini alcune castella. Nel 1235 Rainerius Pie-ciolinus quondam Stialtae Uberli vendè al comune di Firenze il suo castello di l'ulicciano. Gli atti autentici di tali vendite si conservano nello Archivio delle liifoimagioni, in Firenze.


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Storia dei comuni italiani
Volume Primo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1864 pagine 591

   

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