Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      3'JOSTORIA DEI COMUNI ITALIANI.
      senziale della istituzione. Chi non avea impedimento, se, qualora venisse invitato, ricusava d'associarsi, perdeva la protezione delle leggi, e il diritto agli ufficii; se non che, dopo fatto lo invito, gli venivano concessi quaranta giorni di tempo; finiti i quali, il silenzio dello invitato consideravasi come formale rifiuto. 1 Cotesto compagnie non erano perpetue, ma temporanee, e innanzi l'epoca in cui il supremo magistrato del comune fosse reso annuo, duravano quanto esso; onde occorre ordinaria la frase negli antichi cronisti genovesi: nell'anno tale si fecero consoli tanti per anni tanti, ed una compagna per altrettanto numero d'anni. La compagnia quindi non si ricomponeva di nuovi individui, ma rnodificavasi; e nel dì solenne della nuova creazione si ricompilava un nuovo breve di statuti inserendo nei debiti luoghi le poche o molte variazioni fattevi ; e tutti i socii profferivano il giuramento di osservarli.
      Era tale l'ordinamento generale del popolo che formava quello che ai dì nostri si direbbe potere legislativo da lui direttamente esercitato, mentre lo esecutivo era affidato a certi alti magistrati eletti in parlamento. Pare verosimile che nella prima infanzia del comune i capi de'quartieri e delle compagnie fossero i consoli, i quali nel progressivo esplicarsi ed unificarsi dello stato, diventarono magistrati supremi del comune. Vero è che avanti il 1130 avevano potestà vastissima, le varie parti della quale spesso trovavansi in conflitto; il che in ispe-
      1 « Si quis Ianuensis ab aliquo ex nobis specialitcr et nominatim uoca-tus, uel a pluribus pubIice uocatus , uel appellati» fuerit inlrare in nostrani compagnoni. et infra XL dies postquam fuerit uocatus non introierit. non illi debiti erimus . et personam ejus et lamentationes ejus per lios III annos non recipiemus . excepto si conimune Ianuae aduersuin cum aliquam mouerit ac-tionem in qua aciione uel in quo iure eum audiemus. et iusticiam inde bona fide laudabimus. et consulem eum uel clavarium non eligemus , et legatimi in aliquam partoni non mandabimus. nec advocatorem in placito eum quod iudicare debeamus suscipiemus. neque aliquod ofiìcium de communi illi da-bimus , et faciemus simililer iurare consules post nos iutraturos, et quod ipsi alios consules post sa intraturos boc idem iurare faciant. et laudabimus po-pulo ut personam eius qui de communi compagna non fuerit, et pecuniam suam per mare non portet. Si vero aiiquis personam eius uel pecuniam ejus portaverit nobis scieutibus. facicmus vindictam de eo bona fide , in nostro arbitrio. Et qui invitatus fuerit intrare in compagoam. et noluerit ut dictum est et liabucrit discordiam cum bomine nostre compange. et nos Iioc sciemus. laudabimus ut nullus homo nostre compange det illi consilinm uel auxilium de illa discordia. et laudabimus populo quod det consilium liomioi nostro compange. » Monumenta lliitoriae Palriae, T. II, pag. 2i5.


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Storia dei comuni italiani
Volume Primo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1864 pagine 591

   

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