Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      LIBRO TE11ZO.
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      con lieto animo accettiamo la pace e la grazia dello imperatore purché rimangano intatte le libertà nostre. Ciò che, secondo l'antica consuetudine, a lui deve l'Italia, volentieri faremo, ciò che è giusto non gli negheremo: ma finche ci rimarrà vita, non c'indurremo mai a lasciarci rapire quella libertà che dai padri, dagli avi e dai proavi nostri ci fu tramandata in retaggio, volendo meglio morire gloriosamente liberi, che vivere miseramente servi. » 1 Appena pose fine al favellare l'oratore de'Lombardi, il papa secondo il costume, impartì la benedizione, e la ragunanza si sciolse.
      Chi aveva meglio sostenuta la parte propria, il papa o l'oratore degli alleati, l'uno col simulare, l'altro col contenersi? Vero è che non autorità di persona, non solenne apparato, non asseveranze ripetute dall' alto degli altari di Dio potevano smentire ciò ch'era notissimo a tutto l'universo. Nessuno ignorava lo accordo fatto in Anagni tra Alessandro e Federigo: costui ne spargeva studiosamente la voce; se ne movevano continue ed amare querele per tutta Italia, lo additavano ad esempio i vacillanti Comuni per coprire l'infamia di rendersi spergiuri alla lega; e non pertanto il pontefice osava asserire di non avere nulla concluso per sè, e per vecchio ed ingenito costume della gente di chiesa, senza esitare menava vanto di avere egli solo domato il grande imperatore, quasi i nomi di Tortona, Crema, Milano, Alessandria e Legnano non fossero impressi ne' cuori non che nelle menti di tutti gli uditori a smentirlo. Nonostante, ai Lombardi era forza reprimere lo sdegno e simulare, perchè, sebbene Federigo non potesse subitamente ragunare per l'ottava volta un esercito a riaccendere la guerra, le condizioni della lega non erano più quelle del glorioso anno precedente, e lo intempestivo rompere col papa e con l'imperatore, che d'allora in poi non avevano più oltre cagiono a nuove ostilità, avrebbe resa sterile la vittoria; e i popoli davvero erano stanchi ed
      1 Questi due discorsi sono una Fedele traduzione di quelli che Romualdo Salernitano, che in qualità di ambasciatore siciliano trovavasi presente alla scena, pone in bocca al papa ed all'oratore lombardo-, in quello di quest'ultimo abbiamo lasciato un tratto , dove toccando del re di Sicilia , il cronista amplifica con troppa ampollosità cortigianeccia ciò che 1' oratore avrà detto in più brevi e misurate parole.


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Storia dei comuni italiani
Volume Primo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1864 pagine 591

   

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