Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

Pagina (293/593)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina  Immagine

      LIBRO TEìtZO.
      291
      a traverso i cancelli fino alle sue stanze.1 II dì dopo lo imperatore disse che volendo seguire il rigore della giustizia, avrebbe dovuto farli morire tutti quanti, ma amando meglio cedere alla misericordia, li lasciava vivi. Poi comandò che lutto il popolo, come quello che era meno colpevole, tornasse a Milano; ma tenne in ostaggio i consoli, gli ex-consoli, i maggiorenti, i militi, i legisti, i giudici, dei quali aveva sospetto che, ritornati in città, rinfiammassero la plebe, persuadendola a resistere col coraggio della disperazione, sì che il trionfo ottenuto a cotanto poco costo correva pericolo di fuggirgli dalle mani. Così, prestatogli il giuramento di fedeltà , i lacrimanti drappelli de' cittadini tornavano sconsolatamente alle case loro. Li seguivano avviati a Milano sei Tedeschi e sei Lombardi, deputati da Federigo a ricevere il giuramento di fedeltà da tutti coloro eh' erano ivi rimasti. I messi imperiali comandarono che fossero date loro le quattro castella clic sole "tra tante rimanevano al comune, e si disfacesse un lungo tratto delle mura e colmasse il fosso in guisa che l'esercito vincitore potesse entrare ordinato a larghe file nella città.
      Federigo da Lodi era passato a Pavia. Il dì diciannovesimo di Marzo fece ai consoli milanesi comandamento di fare uscire dalla città, dentro otto giorni, tutta la popolazione , uomini e donne, ai quali dava licenza di potere recare tanto delle robe loro quanto ciascuno ne potesse portare sullo spalle una sola volta. Sei giorni dopo il popolo usciva fuori le mura ; i gemiti di tutti, il lamentarsi degli infermi e delle puerpere, le strida dei fanciulli trascinati lungi dai propri lari,2 formavano una luttuosissima scena. Gli agiati si ricoverarono, chi a Pavia, chi a Bergamo, o a Lodi, o a Como, o ad altre terre propinque. La plebe meschina rimase, a guisa d'armento, presso alle mura, affamata, cadente, mezzo nuda, sotto la sferza della inclemente stagione, non potendo indursi
      ' a Cruces quas in manibus ferebant per cancellila io caminatam (forte canterani, Marat.) imperatricis projiciebant, cum ante cospectuin cnjus introi-tum non haberent. » Idem, limi.
      1 Sono parole di Sire Raul milanese, che pati di quello esilio o Io narrò affettuosamente nella sua cronaca.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina  Immagine

   

Storia dei comuni italiani
Volume Primo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1864 pagine 591

   

Pagina (293/593)






Milano Milano Tedeschi Lombardi Federigo Lodi Pavia Marzo Pavia Bergamo Lodi Como Cruces Marat Sire Raul Raul