Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      2ÓGstoria dei comuni italiani.
      venti, risposero: Tutto, tutto è dello imperatore.1 —Nessuno de'principi forti poteva opporsi; ai deboli tornava dolce vedere scemato lo impero delle città che avevano fiaccata la potenza loro, e costrettili a giurare il comune. E però vescovi, baroni e consoli resero le regalie nelle mani di Federigo, il quale le riconcedeva a coloro che o ne potessero provare con documenti il legittimo possesso, ovvero la concessione ricevuta da precedenti imperatori, o le vendeva a chi avesse volontà e pecunia d' acquistarle. Da questo riordinamento il fisco imperiale ricavò un' annua entrata di trentamila talenti o marche d'argento; aggiungi a ciò il provento d'un testatico o tassa di capitazione che venne pur allora imposta, e le taglie sui beni riconfermate. In quel congresso adunque fu sancito l'assoluto potere del principe, dannata la nascente libertà degl' italici comuni; e Federigo acquistò un concetto così esagerato della potestà imperiale che gli dette una ostinazione, di cui ha pochi esempi la storia del mondo, a tradurlo nel fatto. Se da un lato la colpa fu de' giureconsulti, che invece di ridurlo a senno, gli accrescevano l'errore e con l'ebrietà delle adulazioni, e con la idea del potere supremo così com'è formulata nella compilazione imperiale delle leggi romane;2 dall'altro lato i consoli de'comuni si mostrarono paurosi là dove avrebbero dovuto protestare alteramente, anticipare, cioè, con le parole ciò che poi fecero coi gloriosi fatti della lega. Ma invece si tacquero e lasciaronsi vergognosamente togliere di mano quei diritti che i padri loro avevano rivendicati spargendo rivi di sangue. La sto-
      praestntiones, et extraordinaria collati» ad felielssimam regalis nnminis expe-ditioneni, potestas costituendomm magistratuum ad justitiam expediendam, argentai iae et palatia in civitatibns consueti», piscationum reddilus et salina-rum, et bona committentium criroen inajestatis, et dimidium tbesauri in loco Caesaris inventi, non «lata opera, vel loco religioso j sì, data opera , totum ad eum pertineat. n (Lib. II, tit. 56).
      1 Ottone Morena cronista di Lodi racconta elle un di Federigo, cavalcando fra Bulgaro e Martino Gossia, dimandò s' egli fosse padrone del mondo. Bulgaro disse no quanto alla proprietà ; Martino si. La iusinghiera risposta di questo piacque allo imperatore tanto clie, disceso, gli fece dono del proprio cavallo : e I' altro esclamò : Amisi equum quia dixi (Bquum, quod non fuìt ccquum. Presso Muratori, Rer. llal. Scrip.
      2 Sismondi nota che la genia do' legisti fu sempre ostile alle libertà do'comuni, e servilmente parteggiò per la tirannide che voleva spegnerle.


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Storia dei comuni italiani
Volume Primo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1864 pagine 591

   

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