Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      STORIA DEI COMUNI ITALIANI.
      aveva significato proprio, o se pure significava alcuna cosa, indicava la moltitudine de' non possidenti e de' servi.
      XXV. Allorquando i barbari stabilironsi nelle Provincie dello impero, e vi trovarono radicata la mala pianta della schiavitù, anch' essi avevano un ordine di schiavi nelle patrie terre: però la mantennero non come una innovazione originata, dall'ordine nuovo delle cose, ma come una consuetudine sociale. Parecchi scrittori sostengono che i vincitori ridussero in assoluto servaggio i popoli vinti : ed è opinione che non discorda dal diritto delle genti vigente in quell'età; ma non vi sono bastevoli testimoni di autori contemporanei che la comprovino. È verosimile che come i vincitori si venivano socievolmente mischiando co' vinti, dopo anni non pochi di dimora, i discendenti dei barbari, nati in Italia e favellanti l'idioma degli Italiani, li affrancassero ; ma egli è quasi certo che il bisogno di avere genti che coltivassero le terre, persuadesse que' guerrieri a mitigare la condizione degli schiavi, trasmutandoli in villani o servi che suona lo stesso. Ma dall'altro canto, crescendo lo scompiglio de'tempi per l'anarchia feudale, gli uomini s'indussero a cercare ricovero fra le braccia medesime che producevano il movimento devastatore, commmdavansi, come dicevasi allora, ai signori feudali, pagando un tributo, o vincolandosi con debito di servigi da prestarsi in ricompensa della protezione ottenuta. Era questa una quasi schiavitù, cui si sobbarcavano i piccoli possidenti, e che era inevitabile e gravissima sempre che il protettore fosse d'indole perversa. Uomini liberi quindi non v' erano ; e ciascuno o era vassallo per la terra che possedeva, o servo per la protezione che riceveva ; e il grosso del popolo rimaneva in condizione di universale servaggio. Questa forma politica della società, che da'filosofanti intorno alla storia, viene giudicata nuovo e quasi inconcepibile fenomeno, come quella che congiungeva l'anarchia e la licenza alla cieca sommissione e alla più insopportabile oppressura, messe così profonde radici negli animi dei popoli, che non solamente s'infeudò la terra tutta quanta, in modo che ne nascesse queiraforismo di diritto feudale:—nessuna terra senza signore—ma ogni altra cosa suscettibile di prezzo e di estimo.


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Storia dei comuni italiani
Volume Primo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1864 pagine 591

   

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