Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

Pagina (65/593)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina  Immagine

      LIBRO PRIMO.
      J 05
      di renderle ereditarie nella famiglia del primo beneficato. La idea di proprietà fissa non poteva essersi subitamente radicata nelle menti de' nuovi padroni, i quali nelle patrie contrade, o a dir meglio, di là dai confini dello impero, a quanto pare, menavano una vita pressoché nomade, erano poco o punto studiosi dell' agricoltura, nutrivansi di erbe, di latte, di carne, e quando non lasciavano la terra a uso di pascolo, sembra che ogni anno ne facessero una nuova partizione fra coloro che fruivano del diritto di possedere. La quale costumanza abbarbicata alla loro vita con quel vigore con cui si attaccano le idee, le tradizionale consuetudini ne'cuori de'popoli inculti, non poteva far loro sentire il vero pregio d'un bene che dopo un tempo sì breve passava sotto d'un altro possessore.1 E però potrebbe ragionevolmente supporsi che non avessero idea della distribuzione fissa e perpetua della terra allorquando rovesciaronsi sull' impero e vi trovarono il territorio diviso in tante parti, ciascuna delle quali era coltivata da un possessore perpetuo, bonificata, e ridotta a rendere un prodotto che a' barbari doveva essere ignoto. E s'egli è vero, siccome sanamente pensano i migliori illustratori di que'tempi, che i barbari, stabilitisi nell'impero, serbassero molte delle loro natie costumanze, essi dalla condizione di guerrieri non poterono repentinamente passare a quella di pacifici possessori e cultori della terra, lo che suppone un grado d'incivilimento, cui non si giunge se non a grado a grado e lentamente. Per la qual cosa non pochi, fidenti in qualche scrittura di que'tempi, opinano che i barbari, o almeno talune delle varie genti barbariche, riducessero in servitù tutti gli abitanti del paese conquistato, e che, per trarre un positivo profitto dalle nuove ricchezze territoriali, a ciascuno de' commilitoni il capo assegnasse quella tale porzione di terra, lasciandovi l'antico possessore, che la coltivasse, e pagasse un tanto, per modo di esempio, uno o due
      1 Cesare, De Bello Gali., cap. VI, 22. E Tacito, De Mor. Germ , dice : * Agri prò numero cullorum ab univtrsis per vices occupautur, ijuos inox intrise secumluin dignationem partiuntur; facilitatem partiendi csinporum spatia priestant. Arva per annos mutant, et supcrest 8ger: uec enim cum ubertate et amplitudine soli labore contendunt, ut poniaria conscrant, et pratu sepiant, et bortos rigent : sola terrai seges imperatur. »


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina  Immagine

   

Storia dei comuni italiani
Volume Primo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1864 pagine 591

   

Pagina (65/593)






De Bello Gali Tacito De Mor Agri