Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      LIBRO PRIMO.
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      nevano i mezzi disonesti, cioè la facilità di accumulare pecunia nelle rapine delle imprese militari, e la usura turpemente e spietatamente esercitata. L' usura ai nobili romani era permessa come il furto agli Spartani, con questa differenza che la prima si praticava scopertamente, mentre a rendere lecito . il secondo ricliiedevasi destrezza infinita nel tenerlo nascosto. Male arti erano entrambe, ma presso i Lacedemoni il furto mirava ad un fine politico; presso i Romani l'usura generava un tarlo che tendeva a rodere le fondamenta della patria costituzione. E cotesto appetito smoderato di ricchezze divenne cotanto immane, che un Romano non si reputava ricco se non avesse tanti tesori da potere assoldare a proprie spese un esercito. Marco Crasso possedeva in soli beni stabili du-gento milioni di sesterzi.' Demetrio, liberto di Pompeo, era più ricco del proprio signore che era ricchissimo.2 Un Romano dopo di avere perduta gran parte del patrimonio nelle guerre civili, lasciò, morendo, quattromila centosedici schiavi, tremila seicento paia di bovi, venticinquemila bestie altre diverse, sessanta milioni di sesterzii, oltre a quello che possedeva in terreni.3 Quindi gli spettacoli, le feste, i banchetti, il lusso d'ogni genere trasformarono lo aspetto di Roma. Più tardi la smania di profondere tesori ruppe ogni confine. Le matrone romane dimenticarono gli esempi della gran madre de'Gracchi, che a tale, che le chiese quanta e quale fosse la sua ricchezza, rispose mostrando i due fanciulli che educava alla gloria della repubblica; avevano, dico, dimenticato questi esempi di patria grandezza, e toglievano ad imitare le barbare regine dell'Asia. Le nobili donne romane non uscivano al passeggio senza che fossero precedute e seguite da una torma di schia-
      1 Plin., Ilist., lib. XXIII, c. io.
      2 Seneca, De tranquillitale animi, c. Vili. Lo stoico spagnuolo era padrone di trecento milioni di sesterzii, di numerose torme di schiavi, di ville e di palazzi magnifici , mentre con astutissima ipocrisia moralizzava intorno alla inutilità delle ricchezze col seguente piagnisteo, u 0 miserura , si quem delectat sui patrimonii liber mag nus et vasta spatia terrarum colenda per victos, et immensi greges pecorum per provincias ac regna pasrendi , et fa-milia bcllicosis nationibus major, et teilificia privata latitateli) urbium megna-rum vincentia ! — Ego regnum sapienti» uovi niaguum, sectirum } ego sic omnia habeo ut omuium sint». Ve Beneficili lib. VII, c. 10.
      3 riiu.. loc. cit.


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Storia dei comuni italiani
Volume Primo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1864 pagine 591

   

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