Storia dei comuni italiani di Paolo Emiliani-Giudici

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      LIBRO PRIMO.
      19
      gente infemminita e corrotta. I Romani, nella coscienza di essere i veri padroni del mondo, spregiavano la boria delle pompe private; la parsimonia del vivere secondo la nobile semplicità de' tempi primitivi fu reputata la migliore virtù del cittadino in tempo di pace, come il valore militare quella del cittadino in tempo di guerra. L'uomo viveva tutto per la patria; i suoi affetti, le sue azioni si concentravano nel sentimento della vita della repubblica, come in loro naturale principio. 11 gran Dio de' Romani era la patria. Nel vivere di tutti era una concorde abnegazione di se stesso; e di ciò rende testimonianza il contrasto della povertà degli edifici privati, e la gigantesca magnificenza de' pubblici. Il cittadino romano era severamente onesto ; il solo suo giuramento bastava ad irrefragabile testimonio di ogni qualunque gravissimo fatto. ' La legge emanando dal libero suffragio del popolo, lo vie disoneste non menavano alle magistrature; la virtù sola, e la fama di virtuoso era l'unica scala agli onori. Pensando i Romani come la salute della repubblica riposasse sopra la osservanza della civile disciplina, istituirono un supremo magistrato, il quale sempre vegliando o come essi dicevano, censurando la vita pubblica e privata de' cittadini, estirpasse i vizi anche minimi e ogni cagione di possibile scadimento. I Censori, diventati arbitri dei costumi di Roma, furono cagione potissima elio i Romani indugiassero lungo tempo a corrompersi.2
      Ma quando i Romani si recarono in Asia, quando furono sedotti dai molli e servili costumi delle abiette popolazioni d'Oriente, ritornando in Italia, quasi infetti di pestilenza, introdussero il primo germe di corruzione nella patria austerità. Un ricco Romano che aveva osato edificare una splendida casa,
      1 Polibio, lib. VI. —Plutarco nella Vita di Catone Maggiore racconta, che essendo questi censore, ed avendo fatto cacciare dal Senato Lucio Quinto, costui si appellò al popolo : innanzi al quale Catone dopo d'avere esposte le ragioni per cui aveva ciò fatto , vedendo che l'accusato ostinavasi a negare , lo chiamò al giuramento; ma Lucio , non bastandogli l'animo di commettere uno spergiuro, si tacque ed accettò la pena. Plutarco ripete lo stesso fatto nella Vita di T. Q. Flaminio. — In quella di Lisandro, invece, afferma che il greco guerriero diceva « essere d' uopo coi dadi i fanciulli e coi giuramenti ingannare gli nomini, n
      1 Machiavelli, Discorti sopra le Deche di Tito Livio, lib-1, cap. 49. — Intorno all'ufficio di Censore vedi Plutarco , Vita di Catone.


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Storia dei comuni italiani
Volume Primo
di Paolo Emiliani-Giudici
Felice Le Monnier Firenze
1864 pagine 591

   

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