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Per la biografia di Giovanni Boccaccio

Francesco Torraca
Società Editrice Dante Alighieri, 1912, pagine 432

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   in Frigia corrente con onde chiarissime, si veggono ancora le sparte reliquie della terra, che, per addietro da Nettuno construtta, al suono della cetera di Apollo fu d'altissime mura murata; dalla quale, poiché il greco fuoco d'ogni cosa arsibile ebbe le sue fiamme pasciute, e l'alte rocche, con dispendio grandissimo tirate verso il cielo, toccarono il piano con le loro sommità, e la rapita cagione di queste cose ricercò le camere male da lei per molti abbandonate, uscirono giovani dannati ad eterno esilio; e vagabondi, lasciati i liti Affricani, e la gran massa premente la testa del superbo Tifeo, e li abbondevoli regni di Ausonia, e, le rapaci onde di Rubicone e del Rodano trapassate, sopra le piacenti di Senna ritennero i passi loro; e forse con non altro augurio che Cadmo le Tebane fortezze fermasse, fondarono una loro terra per abitazione perpetua e di loro e de'successori. De' quali essendo già dodici secoli trapassati, e del tredicesimo, delle dieci parti, le nove compiute, come ora del quartodecimo, delle cinque parti, le due, poi che dal cielo nuova progenie nacque intra i mondani, di nobili parenti discese una vergine, la quale essi pietosi ad un armigero di Marte congiunsono con dolorose tede in matrimonio, bene speranti d'operare. E cosi in quelli luoghi andanti le cose, tra bretti monti surgenti, quasi in mezzo tra Corito, e la terra della nudrice di Romulo, di Tritolemo, uomo plebeo di nulla fama e di meno censo, già dato a' servigi di Saturno e di Cerere per bisogno, e d'una rozza ninfa, nacque un giovanetto, di cui, siccome di non degno di fama, il nome taccio. E benché mutasse abito, coperti sotto ingannevole viso, li rozzi costumi ritenne del padre, in ogni cosa materiale ed agreste, e non imitante i vestigi del generante, si dispose a seguitare con somma sollecitudine Giunone; la quale a lui favorevole in quelli luoghi il produsse; e ne' servigi di lei, abbondevol-mente trattando i beni di quella, per lungo spazio trasse sua dimoranza: ed agl'incoli parlando sé nobile, a' nobili cotale mestiero, quale il suo era, essere per consuetudine antica, mentiva. Dove dimorante elli, il dolente gufo donante tristi augùri a' nuovi matrimòni della già detta vergine, con crudel morte vegnenti le sue significazioni, fu levato di mezzo colui, che, poco più che fosse vivuto, mi saria stato padre; e lei di senno e di età giovinetta, senza compagnia rimasa nel vedovo letto, nelle oscure notti, triste dimoranza traeva piangendo, in tino a tanto che agli occhi vaghi di lei Favventiccio giovane