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Per la biografia di Giovanni Boccaccio
Francesco Torraca
Società Editrice Dante Alighieri, 1912, pagine 432 |
Digitalizzazione OCR e Pubblicazione a cura di Federico Adamoli
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All
Nè quella della gente, che nimica, I monti l'un dell'altro caricando, Infino al ciel di quei facendo bica,
S'appressarono a Giove minacciando, Per torli il regno, e 'n Flegra poi sconfitti Da lui, ch'ancor li spaventa tonando ;
Nè qualunque altri mai furon trafitti Da tei celestiale. Adunque, presto Ci s'apra il ciel, a cui sagliam diritti.
Se chi vi sta nostro valor molesto Non vuol sentire, e forse a' luoghi bassi Andare ad abitar, lasciando questo,
In quello entrati, saran da noi cassi Li Iddii reggenti, o, per grazia, ad alcuno Simile scanno a noi forse darassi.
E se resister volesse nessuno, Cacciandol quindi, il faremo abitare ' Misero con Pluton nel regno bruno.
Nostra virtù sopra le stelle pare: Nobiltà non ha luogo, ove ricchezza I suoi difetti puote ristorare.
La vigorosa e bella giovanezza. Che posseggiam. ne fa vie più sicuri, E d'animo e di cuor ne dà fermezza.
Quai torri eccelse, o quai merlati muri Ci negherien l'entrate in ogni loco. Ove piacesse a noi, per esser duri?
Dunque col carro su del nostro foco, Tirato da' dragon. ce ne montiamo; Già siam vicini a lui, già distiam poco.
Se c'è forse negato che vi entriamo. Come Feton l'accese altra fiata, E così noi la seconda l'ardiamo
Con chi dentro vi sta, sì che l'enfiata Ira di noi dimostriam con effetto A chi contrario è suto a nostra entrata;
E cosi si punisca il lor difetto.

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