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Per la biografia di Giovanni Boccaccio

Francesco Torraca
Società Editrice Dante Alighieri, 1912, pagine 432

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   - 333 —
   All    Nè quella della gente, che nimica, I monti l'un dell'altro caricando, Infino al ciel di quei facendo bica,
   S'appressarono a Giove minacciando, Per torli il regno, e 'n Flegra poi sconfitti Da lui, ch'ancor li spaventa tonando ;
   Nè qualunque altri mai furon trafitti Da tei celestiale. Adunque, presto Ci s'apra il ciel, a cui sagliam diritti.
   Se chi vi sta nostro valor molesto Non vuol sentire, e forse a' luoghi bassi Andare ad abitar, lasciando questo,
   In quello entrati, saran da noi cassi Li Iddii reggenti, o, per grazia, ad alcuno Simile scanno a noi forse darassi.
   E se resister volesse nessuno, Cacciandol quindi, il faremo abitare ' Misero con Pluton nel regno bruno.
   Nostra virtù sopra le stelle pare: Nobiltà non ha luogo, ove ricchezza I suoi difetti puote ristorare.
   La vigorosa e bella giovanezza. Che posseggiam. ne fa vie più sicuri, E d'animo e di cuor ne dà fermezza.
   Quai torri eccelse, o quai merlati muri Ci negherien l'entrate in ogni loco. Ove piacesse a noi, per esser duri?
   Dunque col carro su del nostro foco, Tirato da' dragon. ce ne montiamo; Già siam vicini a lui, già distiam poco.
   Se c'è forse negato che vi entriamo. Come Feton l'accese altra fiata, E così noi la seconda l'ardiamo
   Con chi dentro vi sta, sì che l'enfiata Ira di noi dimostriam con effetto A chi contrario è suto a nostra entrata;
   E cosi si punisca il lor difetto.