Stai consultando: 'Per la biografia di Giovanni Boccaccio ', Francesco Torraca

   

Pagina (310/434)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (310/434)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Per la biografia di Giovanni Boccaccio

Francesco Torraca
Società Editrice Dante Alighieri, 1912, pagine 432

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Home Page]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   - 311 —
   intorno a queste parole? Io dico che io allora più volte ringraziai la santa Dea promettitricc e datrice di quelli diletti. 0 quante volte io li suoi altari visitai con incensi, coronata delle sue fronde, e quante volte biasimai li consigli della vecchia balia ! Ed oltre a questo, lieta sopra tutte l'altre compagne, scherniva li loro amori, quello nei miei parlari biasimando, che più nell'animo mi era caro, fra me sovente dicendo: Niuna è amata come io, nè ama giovane degno come io amo, nè con tanta festa coglie gli amorosi frutti come colgo io. Io brevemente aveva il mondo per nulla, e con la testa mi parea il cielo toccare, e nulla mancare a me, al sommo colmo della beatitudine tenere, reputava, se non solamente in aperto poter dimostrare la cagione della mia gioia, estimando meco medesima che così a ciascuna persona, come a me, dovesse piacere quello che a me piaceva, Ma tu, o vergogna, dall'una parte, e tu, paura, dall'altra, mi ritenesti, minacciandomi l'una d'eterna infamia, e l'altra di perdere ciò che nemica fortuna mi tolse poi. Adunque, siccome piacque ad Amore, in cotal guisa più tempo, senza avere invidia ad alcuna donna, lieta amando vissi, e assai contenta, non pensando che il diletto il quale io allora con amplissimo cuore prendea, fosse radice e pianta nel futuro di miseria, siccome io al presente senza fruito miseramente cognosco.
   Poi egli ed io, siccome caso venne, essendo il tempo per piove e per freddo noioso, nella mia camera, menando la tacita notte le sue più lunghe dimore, riposando nel ricchissimo ietto insieme dimoravamo; e già Venere, da noi molto faticata, quasi vinta ci dava luogo, ed un lume grandissimo, in una parte della camera acceso, gli occhi suoi della mia bellezza faceva lieti, ed i miei similmente faceva della sua. Li quali men-trechè di quella, parlando io cose varie, essi soperchia dolcezza beveano, quasi di essa inebriate le luci loro, non so come per picciolo spazio da ingannevole sonno vinti, e toltemi le parole, stettero chiusi. Il quale così soave da me passando, come era entrato, del caro amante rammarichevoli mormorii sentirono le mie orecchie, e subito della sua sanità in vari pensieri messa, volli dire : Che ti senti ? — ma vinta da nuovo consiglio, mi tacqui, e con occhio acutissimo, e con orecchie sottili, lui nell'altra parte del nostro letto rivolto cautamente mirando, per