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Per la biografia di Giovanni Boccaccio

Francesco Torraca
Società Editrice Dante Alighieri, 1912, pagine 432

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   - 308 —
   bandona. Li tuoi prieghi hanno con pietà tocchi li nostri orecchi siccome degni, e però spera che, secondo l'opera, senza fallo, merito prenderai. — E quinci, senza più dire, sùbita si tolse agli occhi miei.
   Cotale proponimento adunque servando, e sotto grave peso di sofferenza domando li miei disii volonterosissimi di mostrarsi, m'ingegnai con occultissimi atti, quando tempo mi fu conceduto, d'accendere il giovane di quelle medesime fiamme delle quali io ardea, e di farlo cauto come io era. Ed in verità in ciò non mi fu luogo lunga fatica; perocché, se nei sembianti vera testimonianza della qualità del cuore si comprende, io in poco tempo conobbi al mio desiderio esser seguito l'effetto; e non solamente dello amoroso ardore, ma ancora di cautela perfetta il vidi pieno ; il che sommamente mi fu a grado. Esso con intera considerazione, vago di servare il mio onore, e adempiere. quando i luoghi e li tempi il concedessero, li suoi desii, credo non senza gravissima pena, usando molte arti, s'ingegnò d'avere la familiarità di qualunque mi era parente, ed ultimamente del mio marito: la quale non solamente ebbe, ma ancora con tanta grazia la possedette, che a niuno niuna cosa era a grado, se non tanto quanto con lui comunicava. Quanto questo mi piacesse, credo che, senza scriverlo, il cognosciate : e chi sarebbe quella sì stolta, che non credesse che sommamente da questa famigliarità nacque il pstermi alcuna volta, ed io a lui, in publico favellare? Ma già patendoli tempo di procedere a più sottili cose, ora con uno, ora con un altro, quando vedeva che io udire potessi ed intenderlo, parlava cose, per le quali io, volonterosissima d'imparare, conobbi che. non solamente favellando si poteva l'affezione dimostrare ad altrui e la risposta pigliarne, ma eziandio con atti diversi e delle mani e del viso si poteva fare: e ciò piacendomi molto, con tanto avvedimento compresi, che nè egli a me, ne io a lui, significare voleva alcuna cosa, che assai convenevolmente l'uno l'altro non intendesse. Nè a questo contento stando, s'ingegnò, per figura parlando, d'insegnarmi a tale modo parlare, e di farmi più certa dei suoi disii, me Fiammetta, e sè Panfilo nominando. Oimèl quante volte già in mia presenza e de' miei più cari, caldo di festa e di cibi e di amore, fìngendo Fiammetta e Panfilo essere stati greci, narrò egli come io di lui,