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a cura di Federico Adamoli Aderisci al progetto!
me negandosi, mi era materia di pessima vita. Io ricercai molte volte la grazia perduta, nè quella mai potei riavere ; per la qual cosa un dì, da greve doglia sospinto, ardilo divenni oltre il dovere, ed in parte, ove lei sola trovai, così le dissi : Nobile giovane, s'egli è possibile che mai il tuo amore mi si renda, ora, i molti prieghi ragunati in uno, il dimando. A cui ella rispose : Giovane, la tua bellezza di quello ti fece degno ; ma la tua iniquità di quello t' ha indegno renduto ; e però, senza speranza di riaverlo giammai, vivi ornai come ti piace; e questo detto, come se di me dubitasse, si partì frettolosa, Certo io estimo che il dolore della impaziente Bidone fosse minore che '1 mio, quand'ella vide Enea dipartirsi ; ma tacerollo, però che invano gitterei le parole, pensando che la menoma parte appena se ne potrebbe per me esplicare ; ma così dolente la mia camera ricercai, nella quale solo più volte l'angosce mie, come Ifi o Bibli, miseramente pensai di finire. Ma già, fuggita ogni luce, la notte occupava le terre, quando a me in questi pensieri involto, noti senza molta fatica il sonno, imitante la morte, entrò nel mio misero petto ; nel quale, qual si fosse lo Iddio, verso me o pietoso o crudele, che movesse Morfeo a varie cose mostrarmi, m'è occulto ; ma cose terribili vidi in quello, intorno alla fine del quale, come io avviso, mi parea in doloroso atto sedere in una parte della camera mia, ed in quella vedermi davanti Pampinea e la turbata Abrotonia; e amendue mirandomi fiso, con atto lascivo e con parole abbominevoli dannand ![]() |