Stai consultando: 'Per la biografia di Giovanni Boccaccio ', Francesco Torraca

   

Pagina (285/434)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (285/434)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Per la biografia di Giovanni Boccaccio

Francesco Torraca
Società Editrice Dante Alighieri, 1912, pagine 432

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Home Page]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   - 286 —
   si posero nel poco piano, per una gittata di pietra vicini a' primi posti. Una lingua, uno abito, e quei medesimi iddii erano all'uno che all'altro; solamente gli abitatori erano divisi. Ed in picciol tempo di teatri, di templi e d'altri abituri bellissima si potè riguardare; e ciascuno giorno multiplicando di bene in meglio, potè essere dalle circonstanti città menomanti invidiata; e ne' presenti secoli più bella che mai, e di popolo ornatissimo piena si vede; ed in tanto ampliata, che l'una con l'altra delle antiche terre congiunta, sono una città divenute, notabile a tutto il mondo. Ma mentre che le dette cose così procedono di tempo in tempo a' popoli fortunati. Enea, lasciati i luoghi natali, cacciato delle Strofade, fuggito de' liti affricani, di Cicilia partito, e tornato dalle sedie infernali, entra nelle foci dello imperiale Tevero co'troiani Iddii; e presa l'amicizia di Evandro d'Arcadia, e sacrificata la bianca troia alla crucciata Giunone; ed ucciso Turno, con la sua Lavina lieto tiene Laurenza, e dà principio alla gente Giulia, de' quali della vergine sacra e di Marte, Romulo trae invitta origine; e lieto con rigorosa giustizia e con pieghevole forza l'antiche case d'Evandro ristora, e di mura co' suoi successori cingono l'arci di Palatino; e monte Celio ed Aventino con gli altri colli, già da umile piano, erano levati a soggiogare il mondo; e finita la signoria de' re nella città nominata dal suo fattore, e già lungamente vivuta sotto il libero ufficio de'consoli, si poteano. vedere i Campidogli non rozzi con gli scaglioni non di zolle nè di paglia coperti, ma chiari di candidi marmi e d'oro molto lucenti, ed i tèmpi altissimi e mirabili, pieni di molti iddii, i teatri risonanti, e di giovani spessi, nè indigenti delle Sabine; e tutto il cerchio ripieno di popolo possente, e timendo a tutto-il mondo; e i mai non usati trionfi in quella, già de' popoli orientali, e di quei d'Ispagna, e di qualunque altro si celebravano; e Roma in ogni luogo si conoscea. E di quinci nelle mani del divino Cesare pervenuta, lieta donna vede di tutto il mondo; il quale asprissimi affanni sopra l'onde di Tevero, durante per lo suo imperio, ancora non stata la Farsalica pugna, vittorioso di quelli, seco alle seguenti fatiche uomini antichi di sangue, nobili di costumi, chiari di fede e di virtù risplendenti, nell'armi feroci, ed agli affanni possibili, ne menò; da' quali non abbandonato giammai, ad essi per merito, dopo l'acquistate vittorie, con la cittadinanza, luoghi nobili diede in Roma. Là dove i loro discendenti per 'a loro virtù»