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Queste non sono allusioni al disinganno patito ?
II. Non appare (dal muto dell'egloga) che Fitia abbia da lagnarsi personalmente di Mida; non s'incontra nemmeno con lui : le illusioni che nutriva gli son tolte, non dalle dure lezioni dell'esperienza, ma dalle parole di chi è meglio informato di lui. Avrebbe mai bisogno di chiedere schiarimenti per conoscer Mida, se egli stesso ne avesse prosato la cupidigia e gli altri vizi ? E ne parlerebbe con sorpresa e spavento più che con collera?
Insomma, e lo dice chiaramente poco dopo, l'Hau-vette quasi vorrebbe che il Boccaccio avesse voltato in esametri l'invettiva da lui diretta al Nelli; che l'egloga III si fosse mutata in tenzone o contrasto come la VII, nel quale Giovanni avesse rovesciato sul capo di Niccolò tutto il sacco ben colmo della sua requisitoria. Il poeta, da poeta, imaginò, per non ripetersi, d'essere stato in tempo messo su l'avviso, di non aver fatto personalmente la durissima esperienza della liberalità dell'Acciaiuoli. Introdusse a raccontare e consigliare un personaggio bucolico, un pastore bene informato, perchè questo era lo schema da lui preferito sin allora. Allo stesso modo, nelle egloghe III, IV, V e VI, i fatti non si svolgono sotto gli occhi del lettore, sono riferiti dal terzo e dal quarto. Ma ora viene il meglio.
III. Nell'egloga Midas (quella di cui discorriamo) si parla come di avvenimenti non tanto lontani, lo Zumbini dice perfino recenti, della morte di re Roberto, dell'assassinio di Andrea e del matrimonio di Giovanna con Luigi di Taranto; tutte cose che accaddero a Napoli dal 1343 al 1348. Quindi convien credere che il Boccaccio abbia scritto quest' egloga alquanto prima del 1363, non prima però del 1355....
Quindi? Ala di Mida, dell'Acciaiuoli, pervenuto al colmo della potenza, al massimo dello splen-
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