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Per la biografia di Giovanni Boccaccio

Francesco Torraca
Società Editrice Dante Alighieri, 1912, pagine 432

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   - 160 —
   l'Hauvette (') per dimostrare, invece, che le si può assegnare la data del 1355. Anch'io li conosco, e li ho con ogni cura pesati; ma non mi hanno persuaso. Esaminiamoli rapidamente.
   I. L'ottava egloga, piena quanto si vuole di gravissime accuse e d'invettive violente contro l'Acciaiuoli, non contiene la più leggera allusione al disinganno crudele provato dal Boccaccio quando nel 1362, andato a Napoli presso il Gran Siniscalco, ne ricevette le accoglienze così poco festose, anzi proprio indecorose, che ci vengon narrate nella suddetta lettera (al Nelli).
   Nemmeno 1 a più leggera allusione? Fitia o, come noi sogliamo dire, Pizia (il Boccaccio), venuto a Napoli per volere di Mida (vult Midas ipse daturus pascua), consigliato dall' amico Damone (Maghinardo Cavalcanti?) a tornarsene indietro col suo gregge, perchè il vento si porterà via le promesse (Et pro-missa quidem tenues dispersa per auras In nihiluni venient), esclama dolorosamente:
   Me miserimi! deceptus, inops, per saxa per aestus en itcrum revocandus eras grex anxie...
   Udito il lungo, pauroso racconto di Damone, ne è tutto sgomento:
   Heu trepidans horresco solum, suspectaque divis pascua. Quid faciam?
   Pur troppo, bisogna che si rimetta la via tra le gambe, e se ne torni a mani vuote dond'è venuto:
   Hoc tam grande malum? non rebar, lusus et insons. Distrahor hinc pauper; videat Pan, dcprecor, aequus.
   (') Stilla cronologia delle egloghe latine del Boccaccio, nel Giorn -fior. d. Letler. ital., XXVIII, 156.