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Per la biografia di Giovanni Boccaccio

Francesco Torraca
Società Editrice Dante Alighieri, 1912, pagine 432

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   zione, che il Boccaccio sentiva, durante la crisi morale, quando, nella lotta contro il vecchio io, soccombeva; allora, non sentendosi degno del titolo di poeta, lo rigettava quasi con collera. Ma quella sola volta, e solo scrivendo al Petrarca, lo rifiutò? Rileggiamo il sonetto LXVIII:
   Mentre sperai e l'uno e l'altro collo trascender di Parnaso, e ber dell'onde del castalio fonte, e delle fronde che già più ch'altre piacquero ad Apollo, adornarmi le tempie, umil rampollo de' dicitori antichi, alle gioconde rime mi diedi, e benché men profonde fusser, cantai in stil leggero e sollo. Ma poscia che '1 cammin aspro e selvaggio e gli anni miei già faticati e bianchi tolser la speme del suo pervenire, vinto lasciai la speme del viaggio, le rime e i versi e i miei pensieri stanchi; ond'or non so com'io solea già dire.
   La stessa malinconica modestia, o coscienza di non aver raggiunto l'altissima meta, nelle ultime righe della lettera al Pizzinghe; la stessa dichiarazione di non meritare il nome di poeta nell'ultimo libro delle Genealogie: « Quasi da tutti quelli, che mi conoscevano, benché mi opponessi con tutte le mie forze, fui chiamato poeta, ciò che ancora non sono ». Era sentimento sorto e radicatosi in lui da quando si persuase che « le cose volgari non possono fare un uomo letterato », e risolse di abbandonare la poesia volgare, di tentar più alto e, a creder suo, più degno volo; non conseguenza del brutto tiro giocatogli dalla vedova del Corbaccio. Che cosa aveva composto in latino sino al 1355, all'anno, in cui gli rincresceva che l'amico gli desse « il nome, che più