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Accettando e svolgendo ampiamente, con molto garbo, un'opinione del Renier (1), l'Hauvette (2) vide nel Corbaccio la testimonianza più esplicita di una crisi morale del Boccaccio; credette di scoprire un profondo significato « in quel turbamento, in quell'agitazione, in quelle collere, in quei rimorsi, che il Corbaccio ci rivela nel cuore del Boccaccio nel 1355-56 ».
Non era un accidente, un conflitto momentaneo di sentimenti contrari, dopo il quale il Boccaccio doveva ricuperare la serenità del suo pensiero e della sua coscienza, ma bensì uno degli episodi probabilmente numerosi benché noi non ne conosciamo altri, che segnarono una lunga crisi morale. Tra quaranta e cinquantanni all' incirca, dal compimento del Decameron alle risoluzioni che seguirono la famosa visita del certosino Gioacchino Ciani, il Boccaccio traversò un periodo torbido, nel corso del quale il giovane romanziere sensuale e pagano, un tempo cosi festeggiato alla corte di Napoli, si trasformò in un grave e devoto umanista. L'evoluzione non si compì senza urti: la natura intima del novellatore, amico del piacere, noncurante, scettico, vi resisteva con tutta la forza de' suoi istinti, e la sua ragione non aveva in lui impero sufficiente per trionfare della gran lotta. La coscienza del Boccaccio non diresse questo lento lavoro di conversione; dal primo giorno all'ultimo gli avvertimenti gli vennero dal di fuori. Alcuni di questi avvertimenti furono amichevoli, come quelli che gli prodigò il Petrarca, e il Boccaccio li accolse con riconoscenza, ma senza convinzione; altri somigliarono a minacce, testimone il linguaggio tenuto dal Ciani, e il Boc-
(1) « Opera degnissima di attenzione (il Corbaccio). perchè si può a buon diritto chiamare il testamento del Boccaccio, perchè rivela una situazione psicologica nu iva nella viia amatoria del nostro. Il substrato di questo libro è un pentimento serio, una religiosità vaga e nuova ». Henier, La Vita Nuova e la Fiammetta; Torino, Loescher, 285.
(2) Une eonfesiioii, 11.