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Per la biografia di Giovanni Boccaccio

Francesco Torraca
Società Editrice Dante Alighieri, 1912, pagine 432

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   - 133 —
   terlocutore che se ne vendicherà, « solo che tanto tempo gli sia prestato, ch'egli possa o concordar le rime o distender le prose ». Un certo intervallo corse tra « le ingiurie » e il sogno, un altro tra il sogno e la fine dell'amore e tra questa e la vendetta ; per qualche tempo, egli fu incerto se usare il verso o la prosa, e chi sa che non avesse cominciato con i versi? A ogni modo, e a scanso d'equivoci, bisogna non dimenticare che il quarantunesimo anno del Boccaccio era già finito; che egli aveva almeno messo il piede nel quarantaduesimo. L'Hauvette fermò l'attenzione, nel discorso dell'ombra, all'inciso: « l'anno è tosto per esser nuovo », per arguirne che il Corbaccio fu scritto precisamente tra il gennaio e il marzo del 1355, usando i Fiorentini computar l'anno dal 25 marzo ('). Non ripeterò quello, che ho già detto, a proposito del modo di contar gli anni seguito dal Petrarca e dal Boccaccio; piuttosto rileverò che, insomma, s'è battagliato parecchio per giungere alla conclusione, alla quale, un secolo fa, era giunto a lume di naso il Baldelli: « Il fanciullo non è fuor delle fasce che oltre all'anno almeno , dunque ei doveva essere nel quarantaduesimo anno dell'età sua ».
   Se qualcuno volesse, qui, sorridendo, ripetere l'oraziano: de lana saepe caprina rixatur, abbia pazienza, e se ne astenga, perchè si tratta di cosa più seria, che non sembri a prima vista. Lo spirito — si è detto — non si contenta di ricordare al Boccaccio già « maturo », con le tempie già « bianche » e la barba « canuta », che il suo quarantunesimo anno è finito; soggiunge che già da venticin-^ic anni
   (') Une confession, 7 ; Pour la biographie, 203-4.