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Il secondo è la preghiera di Daraone:
Te Silvane pater precor haec, fac cernere possim quos pectit croceos crines per tempora canos, et rugis roseas plenas pallescere malas, et tacitis nemorum iaceat neglecta sub umbris, ut ludam tremulos gressus, oculosque gementes.
Gli stessi voti, fuori d'allegoria, espresse il poeta, per conto suo, nel sonetto XXXVII :
Oh s'io potessi creder di vedere canuta e crespa e pallida colei, che con isdegno nuovo n'è cagione! Ch'aivpor la vita mia di ritenere, che fugge a più poter, m'ingegnerei, per rider la cambiata condizione.
E nell'LXXXII, più diffusamente:
S'egli avvien mai che tanto gli anni miei lunghi si faccin, che le chiome d'oro vegga d'argento, onde io m'innamoro, e crespo farsi il viso di costei, e crespi gli occhi bei, che tanto rei son per me lasso, ed il caro tesoro del sen ritrarsi, e il suo canto sonoro divenir roco sì com'io vorrei; ogni mio spirto, ogni dolore e pianto si farà riso, e pur sarò sì pronto, ch'io dirò : Donna, Amor non t'ha più cara : più non adesca 'I tuo soave canto; pallida e vizza, non se' più in conto; ma pianger puoi l'essere stata avara.
Ignoro se il riscontro sia stato notato (l). Esso
(!) Non mostra di avervi badato il Della Torre, che cita i (lue sonetti, pp. 253-54. Li comprendono tra le rime composte per Fiammetta, il Manicarci e il Massèra, nelVIntroduz. al lesto critico del canzoniere del Boccaccio ; Castel fiorentino, 1901. Non si capisce perchè, somigliaci-