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Non senza ragione, l'Hortis, per un momento (l), sospettò che Abrotonia riapparisse col nome di Galla nella prima egloga del Boccaccio, una di quelle due, nelle quali, avvertì l'autore, fere iuve-niles lascivias suas in cortice pandunt (2). E riappare Alleiram. Sono gli stessi casi. Galla, bellissima tra tutte le ninfe, e lusingatrice (blanda nimis), — Idalagos direbbe : « con atti piacevoli » — ispira violento amore a Damone giovinetto ( Haec facilem placidis quondam me coepit in annis), e gli si concede (Indignor memorans, querc-us mihi testis a morti m est, Amplexus centrini cui iunximns, oscula centum); poi si dimentica di lui, ed ama Panfilo (Nunc alios, oblita mei, sic temperat ignes Ut moriar). Damone ne prova tal dolore da voler morire; prega, supplica, ma invano (crudescit amor, crudescit et ipsa). Invano Tin-daro procura di confortarlo; egli sa, oramai, per durissima esperienza, che, quando i soliti impossibili si verificheranno, tunc servare fidem incipiet lasciva puella. Ma è Damone, che parla, o Idalagos ? Forse anche i due finti nomi — Galla (lattea, bianca) e
(!) Per un momento; perchè, considerando che la scena dell'egloga è posta in Toscana, preferì credere Galla una donna amata dal Boccaccio « dopo la Fiammetta e da lui conosciuta in Firenze ». Studj, 3.
(2) Lettera a fra Martino da Signa. Non vedo perchè da questa frase si debha dedurre, come fanno lo Zumbini e l'Hauvette, che ii Boccaccio, nelle prime due egloghe, non intese raffigurare con precisione perso- e nè fatti reali, ma vi riassunse, senza specificar niente, la prima epoca della sua vita ». Dove « lo dice egli stesso espressamente », come s'è affermato? Nel /ere? Tanta roba in un avverino, che, a farlo a posta, va logicamente congiunto con pandunt f