chiudere il « piacevole libretto », e gettarlo in un canto? E se, invece che alla gentilissima Maria, lo avesse offerto a quella buona lana di Alleiram, non temette che costei glielo lanciasse in faccia, pronunziando una di quelle energiche e pittoresche frasi, di cui abbonda il dialetto napoletano per esprimere la noia e il dispetto? Taccio della stizza — che dico? — del furore, della rabbia, che avrebbe provata, vedendosi conciata a quel modo, ella, che sappiamo capace di andare con i legnaiuoli « innanzi al dolente arbore » dell'infelice Idalagos, e « con le taglienti scuri in prima il pedale, e poi ciascuno ramo far tagliare, e mettere nell'ardenti fiamme ». Alla larga !
Ciò non ostante, volendo ammettere che la fine dell'episodio di Caleone contenga una parte — piccola parte — di vero, io me la spiego come un mezzo imaginato dal Boccaccio per indurre Maria a riflettere, leggendo il romanzo, alla possibile conseguenza dell'esser ella « ingiustamente di piacevole sdegnosa tornata ». Uso a bella posta alcune parole della lettera dedicatoria della Teseide, perchè la credo scritta in circostanze analoghe a quelle, che l'episodio del Filocolo mi fa supporre. Niente più naturale e più comune dell'interpretazione inesatta ed esagerata, che un amante dà agli atti e ai discorsi della donna amata, anche se ella abbia tutte le buone ragioni di non consentire a'desidèri di lui; soprattutto se, a ragione o a torto, gli ha detto o lasciato intendere che gli ha tolto la sua « grazia » per sempre, che non vuol vederlo nè sentirlo mai più. Ricordiamoci — sarebbe stato equo se ne fossero ricordati gli accusatori di Maria — che Giovanni riconobbe più tardi di aver molto sofferto « non per crudeltà della donna amata, ma per soverchio fuoco