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Per la biografia di Giovanni Boccaccio

Francesco Torraca
Società Editrice Dante Alighieri, 1912, pagine 432

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   — 47 —
   Ecco Arcita, dopo Troilo, gettato nello stesso stampo di Fileno. Ma già, prima di Fileno, il suo rivale Florio « è nel viso divenuto tale, che poco più fu Erisitone, quando in ira venne a Cerere ; non par Florio sì è egli impallidito » ('). E come Arcita soleva andare alla marina,
   e verso Atene col viso voltato mirava fisamente e con disiò; e quasi il vento, che di là spirato, più ch'altro gli paresse mite e pio, ei riceveva, e dicea seco stesso: Questo fu ad Emilia molto pi-esso;
   così, nel Filocolo, Biancofiore
   ogni giorno andava sopra dell'alta casa, in parte ov'ella vedeva Montorio apertamente, e quello riguardando con molti sospiri, aveva alcun diletto immaginando e dicendo fra sè medesima: Là è il mio disio, è '1 mio bene. E talvolta avveniva che, stando ella, sentiva alcun soave e picciol venticello venir da quella parte, e ferivala per mezzo la fronte, il quale ella con aperte braccia riceveva nel suo petto dicendo: Questo venticello toccò lo mio Florio.
   Probabilmente dopo aver descritto Biancofiore, e prima di descrivere Arcita in quest'atto, il Boccaccio narrò a Fiammetta lontana, nella dedicatoria del Filostrato :
   affermo solo una essere quella parte, che alquanto mitigava la tristezza (degli occhi suoi) riguardando quelle contrade, quelle montagne, quella parte del cielo, fra le quali e sotto la quale porto ferma opinione che voi siate; quindi ogni aura, ogni soave vento che di colà viene, così nel viso ricevo, quasi il vostro senza niuno fallo abbia tocco.
   f1) Filocolo, I.