Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Storiella di passaporti (1953)

La vostra stampa ha dimostrato di non approvare la decisione del governo relativa al ritiro del passaporto all'industriale Marinotti e su ciò, questa volta, sono d'accordo con voi. Ma non mi sembrate logici: dite sempre che il governo attuale è il governo della Confindustria, ma neanche quando esso colpisce uno dei pezzi grossi del capitalismo italiano siete soddisfatti. (M.N. - Genova)

           Credo che lei appartenga a quella categoria di «benpensanti» che non mancarono di avvertire un senso di profondo compiacimento quando venne annunciato il ritiro del passaporto all'on. Di Vittorio e che hanno letto con un senso di fastidio le interpellanze del sen. Terracini per la mancata concessione del passaporto a centinaia di cittadini italiani che avrebbero voluto recarsi nei Paesi a nuova democrazia o nell'Unione Sovietica.
           Che persino l'Austria sia diventato un paese interdetto agli italiani «sospetti» (e qui i «sospetti» non riguardano la polizia giudiziaria ma la polizia politica) è cosa che forse l'ha lasciato perfettamente indifferente. Ma se può essere troppo chiederle di dare una scorsa alla Costituzione Repubblicana (art. 14, 2° comma: «ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge»), credo che non sia troppo chiederle di seguire quel filo logico di cui, a suo giudizio, noi mancheremmo.
           Lei protesta solo ora che il provvedimento di polizia si è rivolto verso un santone dei monopoli italiani, e si è guardato bene dal protestare quando la «cortina di ferro» creata dall'atlantismo si è levata dinanzi a cittadini italiani non in odore di santità: questa è la sua logica. La nostra logica è quella di considerare sullo stesso piano, di fronte ai diritti costituzionali, uomini che evidentemente giudichiamo in modo diverso, non solo sul piano politico ma anche su quello umano, uomini come il nostro Di Vittorio e il vostro Marinotti.
           Per noi i diritti costituzionali sono i diritti di tutti i cittadini e non di una parte di essi. Ci voleva proprio questa buffa storia del ritiro del passaporto a Marinotti (buffa anche perché è in base alle leggi fasciste che si è fatto finta di colpire un ex fascista) per riuscire ad avvertire un encomiabile ardore costituzionale nella stampa di destra e persino nel signor Costa, l'uomo che è giunto ad offendere il Parlamento, che detta circolari in contrasto con le leggi dello Stato e ne impone l'applicazione nelle aziende industriali.
           Il «caso Marinotti» diventa farsesco quando si legge la lunga lettera di spiegazioni (o meglio di scuse) inviata da Malvestiti al signor Costa, ultra-costituzionalista di occasione, nella quale, manco a dirlo, gli industriali vengono esaltati come «una categoria che onora il Paese» («nessuno più di me — si premura di proclamare Malvestiti — apprezza la capacità e l'appassionata dedizione al lavoro degli industriali») e nella quale si esaltano le «doti personali» del «neo-vigilato speciale» Marinotti, per cui, dopo tante lodi e tanti salamelecchi ai grandi industriali in genere e a Marinotti in particolare, resta ancor più incomprensibile l'atto poliziesco compiuto nei confronti di un «fior di galantuomo» e di un «grande patriota» quale risulta essere il cavaliere (del lavoro) Marinotti nella ampollosa prosa del Ministro.
           Tutta questa faccenda appartiene alla più bassa demagogia, poiché non è certo il «bel gesto» compiuto da Fanfani che potrà salvare la «Pignone» di Firenze, ma la lotta dei 1750 condannati alla fame e della popolazione fiorentina che si è stretta attorno ad essi.
           A meno che non si tratti di un tentativo di alibi per coprire passate e future malefatte. Ci sembra già di sentire affermare da qualcuno, forse anche dal signor Ministro degli Interni: «Cosa c'è da protestare sulla faccenda dei passaporti? Non abbiamo forse dimostrato di saper colpire tutti indiscriminatamente, anche il grande industriale Marinotti?».
           Il quale Marinotti forse neanche pensava in quei giorni, di recarsi all'estero e lo pseudo zelo poliziesco di Fanfani è servito solo, nel momento in cui dinanzi alla Nazione si denunciavano le sue gravi responsabilità, a fargli fare la parte della vittima.
           In definitiva il signor Marinotti ha già, di nuovo, il passaporto in tasca e la farsa è chiusa. Resta ancora aperta la tragedia della «Pignone» le cui responsabilità risalgono sia al Marinotti sia al suo governo. Noi abbiamo protestato per l'atto anticostituzionale compiuto formalmente dal governo, pur non avendolo preso sul serio. Ma ciò non ha certo significato, anche per questo solo episodio, che noi riteniamo scissa la politica governativa dagli interessi dei grandi industriali.
           E i primi ad esserne convinti sono i vari Fanfani, Costa e Marinotti.




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