Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Lo sciopero dei tipografi (1953)

Noi compagni siamo rimasti sorpresi per il fatto che lo sciopero dei tipografi abbia colpito anche il nostro giornale. Se la lotta che i tipografi conducono è giusta, come certamente è giusta, perché la direzione dell'«Unità» non ha accettato le richieste dei lavoratori in modo da evitare che essi fossero costretti ad impedire l'uscita del giornale del popolo? (Enrico Bracco - Genova Sestri)

           Credo necessario chiarire anzitutto quale è la situazione di fatto che esiste nel campo della editoria giornalistica.
           Gli operai tipografi hanno i loro rapporti di lavoro con le aziende tipografiche e non con i giornali che in quelle aziende vengono stampati: le rivendicazioni sindacali vengono perciò presentate ai dirigenti delle tipografe e non ai dirigenti dei quotidiani.
           Potremmo dire che i giornali sono clienti delle tipografie così come i viaggiatori di un tram sono clienti della azienda tranviaria e che lo sciopero dei lavoratori tipografi si riflette sui giornali così come lo sciopero dei tranvieri si riflette sui passeggeri.
           Anche a te, comunista e quindi certamente solidale con le lotte dei lavoratori, sarà capitato di dover andare a piedi in occasione di uno sciopero tranviario, ma non credo che tu ti sia sentito in qualche modo responsabile della incomprensione dimostrata dai padroni nei confronti dei lavoratori.
           Il paragone giornalistico-tranviario è però valido solo in parte poiché, di fatto, particolarmente nel campo delle grande stampa borghese, i proprietari dei giornali si identificano con i proprietari delle tipografe: ad esempio il «Corriere della Sera» dei Crespi, la «Stampa» della Fiat, la «Gazzetta del Popolo» di Guglielmone, il «Messaggero» e il «Secolo XIX» dei Perrone. il «Giornale d'Italia» dell'Eridania, il «Roma» di Lauro, ecc.
           Sono queste le aziende tipografiche che più si dimostrano intransigenti verso le giuste richieste dei lavoratori, sia perché i loro proprietari — tutti grandi industriali — seguono in blocco la linea della Confindustria la cui rigidità sociale (o meglio asociale) ha trovato in Angelo Costa il gran pontefice, sia perché esse sperano di avvantaggiarsi delle difficoltà in cui possono venire a trovarsi i piccoli giornali, e soprattutto la stampa democratica, i cui finanziatori sono soltanto i lettori.
           Ai grossi complessi editoriali non interessa affatto la libertà di stampa: interessano solo i grossi profitti dei monopoli a cui fanno capo. Essi non hanno voluto neanche discutere le richieste dei lavoratori hanno scelto la strada del più cieco oltranzismo, incuranti non solo delle condizioni di vita dei tipografi, ma delle stesse difficoltà in cui si dibattono tanti giornali minori della borghesia reazionaria (per esempio il «Corriere del Popolo», il «Corriere Lombardo», il «Momento», ecc. ecc.) Anzi, la morte di qualcuno di questi giornali sarebbe motivo di soddisfazione per il cannibalismo dei monopoli.
           La lotta unitaria dei lavoratori si è diretta, necessariamente, nei confronti di tutte le aziende tipografiche: ecco perché anche «l'Unità» - come del resto tutti gli altri giornali democratici apertamente solidali con l'azione dei tipografi - ha dovuto subire le conseguenze dello sciopero.
           Ciò che deve essere chiaro, e credo non sia superfluo precisarlo ancora, è che lo sciopero non è stato dichiarato nei confronti del nostro giornale ma nei confronti dell'azienda stampatrice di cui «l'Unità» è soltanto un cliente, senza alcuna partecipazione patrimoniale.
           I lavoratori conoscono perfettamente i motivi della intransigenza dei grandi complessi industriali, per questo hanno accettato di trattare direttamente con quelle amministrazioni dei giornali che dimostrassero in forma concreta il riconoscimento delle loro legittime richieste. Questa giusta impostazione della lotta dei lavoratori tipografi ha permesso di giungere rapidamente ad un accordo con le varie edizioni dell'«Unità»; oltre che con altri giornali che hanno saputo svincolarsi dal giogo del grande padronato.
           Perciò, caro compagno, non vi è stato nessun contrasto fra tipografi e amministrazione del nostro giornale, anzi ancora una volta i lavoratori di ogni corrente sindacale hanno trovato nel nostro giornale non solo il portavoce dei loro interessi e l'interprete delle loro aspirazioni ma un fedele alleato contro la congiura della stampa reazionaria.




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