Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Off limits (1953)

Ho visitato la «Mostra del disegno» allestita a Genova dall'«Unità» e l'ho trovata molto interessante. Perciò sono rimasto sorpreso per il fatto che il giornale che normalmente leggo e che, ovviamente, non è quello da lei diretto, non ne abbia affatto parlato. (Dott. Corrado M.- Genova)

           Ho ragione di ritenere che il giornale che lei normalmente legge sia di quelli che, a ogni piè sospinto, affermano che la politica non ha nulla a che fare con l'arte, con lo sport, con la cultura come — ed è questo un ritornello che i lettori di giornali di quel tipo ben conoscono — non ha nulla a che fare con le lotte sindacali.
           Quel giornale, come del resto i suoi confratelli genovesi che, mascherati da «indipendenti», fanno finta di credere alle sciocche e false teorie sulla apoliticità di questo o di quell'aspetto della nostra vita collettiva, tiene, fra l'altro, a presentarsi con un certo tono culturale, sia pure nei limiti — ahimè, molto ristretti — consentiti alle «terze pagine» della stampa borghese.
           Ma la Mostra del Disegno allestita recentemente alla Galleria Rotta non è stata ritenuta degna dai giornali «indipendenti» genovesi di una seria nota critica.
           Eppure si trattava di una Mostra alla quale tutti gli artisti liguri residenti in Liguria hanno partecipato con opere di chiara dignità artistica, eppure lungo le pareti della Galleria erano esposti disegni, litografie, xilografie, monotipi, che recavano la firma di pittori che da tempo hanno raggiunto una sicura notorietà nazionale.
           Non si trattava di una Mostra di tendenza, né di una Mostra che avesse posto qualunque criterio di discriminazione fra gli artisti, è stata di fatto la più importante rassegna regionale del disegno che mai si sia avuta nella nostra città e ognuno sa quanto significato artistico abbia il disegno: talvolta, per la conoscenza piena della personalità di un autore, il disegno assume maggior valore di più compiute opere.
           Nonostante ciò, nonostante che la grande affluenza di pubblico ne avesse consacrato, nella forma più certa, il successo, la stampa «indipendente» genovese ha volutamente ignorato una manifestazione artistica che permettendo, fra l'altro, la diretta comparazione fra le opere dei più vari autori, offriva un particolare interesse critico.
           Ma la Mostra, per quei giornali che sostengono le tesi dell'apoliticità dell'arte, aveva un gravissimo peccato originale: quella di essere stata allestita dall'Unità, dal giornale dei lavoratori.
           All'Ingresso della Galleria Rotta i direttori di quei giornali — interpreti fedeli della ben nota «sensibilità» culturale dei loro padroni — hanno posto l'«off limits» per i loro critici d'arte, fornendo una nuova prova della meschina faziosità in cui li ha immersi la loro contrattuale «indipendenza».
           Lei si è stupito di non trovare nessun cenno sulla Mostra alla Galleria Rotta, né di cronaca né di critica, nel giornale che gode, permetta che dica immeritatamente, la sua fiducia. Penso che lei potrebbe trovare motivi di stupore ancora maggiore più per quello che non si legge in quel giornale, che per quello che vi si può leggere quotidianamente. Comunque ho preso atto con particolare soddisfazione che la Mostra del Disegno allestita su iniziativa dell'Unità ha avuto anche il merito, per la congiura del silenzio che si è manifestata attorno ad essa, di offrire a persone oneste come lei una prova del «maccarthysmo» che condiziona la «libertà» di certa stampa.
           Anche i pittori che, sospinti solo dall'amore per la propria arte, hanno raccolto l'invito del nostro giornale, dimostrando di apprezzare lo spirito dell'iniziativa e il largo criterio informatore della Mostra, hanno avuto certamente modo di avvertire quale sia la parte che, anche per le manifestazioni artistiche, si mette il paraocchi della faziosità politica.
           «Bisogna aiutare gli artisti, bisogna salvare la nostra tradizione culturale, bisogna trovare nuove forme per allargare il campo dell'interasse per l'arte»: frasi di questo tipo lei può averle lette anche sul «suo» giornale, come può averle ascoltate in qualche discorso ufficiale.
           Queste sono le parole.
           I fatti sono le discriminazioni e i favoritismi che hanno portato sul piano inclinato della decadenza la Biennale di Venezia, i fatti sono il rinvio a giudizio, come delinquenti, degli espositori alla «Mostra dell'arte contro la barbarie», i fatti sono il sabotaggio contro tutte le iniziative che non abbiano il sigillo del più piatto conformismo governativo, i fatti sono la congiura del silenzio attorno alle mostre allestite dall'Unità o dalle organizzazioni dei lavoratori.
           Contano questi fatti? Certo, ma non per fermare il grande movimento di rinnovamento culturale che trova una grande forza nella crescente partecipazione attiva dei lavoratori. Contano per far capire a tutti, anche ai lettori di certi giornali, il distacco che la faziosità politica ha creato tra la classe dirigente e la realtà viva, indistruttibile della vita nazionale, la realtà del mondo del lavoro che ha raccolto anche le tradizioni della nostra cultura per difenderle e per portarle avanti.




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