Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Film sovietici (1953)

Ho visto il film sovietico «I Cosacchi del Kuban» dopo aver letto la critica di Casiraghi. Sono d'accordo che si tratta di una buona commedia musicale ma ho avuto l'impressione che il nostro compagno critico cinematografico abbia un po' forzato nel tono elogiativo. (Gio. Ruspe, Sez. San Nicola - Genova)

           Prima ancora di parlare della critica nei confronti del film sovietico in generale e del film «I cosacchi del Kuban» in particolare, occorre parlare del problema dell'importazione in Italia dei films sovietici e, quindi, della conoscenza che di essi si riesce ad avere. Nel nostro Paese, come del resto in quasi tutti i Paesi capitalistici, gli amatori di cinema e gli uomini di cultura «sanno» che il cinema sovietico ha un suo grande, particolare valore, che esso, spesso, ha portato una parola nuova nel campo della difficile arte, ma «sanno» ciò più attraverso la letteratura che attraverso lo schermo.
           Una rigida censura, particolarmente in Italia, sia negli «anni difficili» del fascismo sia in quelli non certamente facili del tempo clericale, ha bloccato la migliore produzione sovietica negli uffici ministeriali. Con la stupida e falsa definizione di «produzione di propaganda», applicata ad una delle espressioni artistiche di maggior livello dei nostri tempi, si è cercato di giustificare l'ottuso comportamento dei censori nostrani, fedeli alla consegna della «cortina di ferro».
           In realtà la «propaganda» del cinema sovietico consiste nel suo profondo legame con le realtà sociali e umane, legame che è uno dei fattori determinanti per la ascesa della produzione cinematografica verso le vette della grande arte come è dimostrato, al di fuori della società sovietica, dalle opere di Chaplin o di Griffith o degli espressionisti o della scuola francese (prima che essa precipitasse nel banale proprio per l'abbandono di una tale concezione) o della recente scuola italiana.
           Il cinema sovietico, nato il 27 agosto 1919, il giorno in cui Lenin firmava il decreto di nazionalizzazione del vecchio cinema zarista (la parola d'ordine di Lenin «Il cinema, di tutte le arti, è per noi più importante» è scritta in tutti i teatri di posa sovietici, a perenne incitamento), ha seguito, con il suo sviluppo, lo sviluppo della società sovietica, ha lanciato nel mondo della «Settima Arte» un nuovo messaggio e ha espresso registi come Sergej Eisenstein e Vsevolod Pudovkin, definiti «maestri dei maestri».
           Ma cosa conosciamo noi del cinema sovietico?
           In questi giorni è morto Pudovkin e tutti i giornali italiani hanno esaltato il valore del grande regista sovietico. Credo però che molti italiani, che nulla conoscono della produzione di Pudovkin, né il lontano «La madre» (1927), né il recente «L'ammiraglio Nekhimov» (1945), hanno avuto modo di stupirsi della generale emozione per la morte di un uomo la cui opera è rimasta per noi inaccessibile.
           Lo spettatore italiano non è stato messo in grado di potersi formare un giudizio diretto sul contenuto e sul valore del cinema sovietico. La frammentarietà e il calcolato «dosaggio» delle proiezioni sui nostri schermi, la attenta cura posta nel negare i «visti» alle opere di maggiore rilievo e di maggior significato a cui si è contrapposto il costante e attento interesse della nostra stampa all'attività sovietica in questo campo, hanno creato la paradossale situazione di una generale indiscussa fama del cinema sovietico in Italia accompagnata da una persistente perplessità dello spettatore di fronte alle opere che gli è dato di conoscere attraverso la rete commerciale. Non che tali opere non abbiano un loro valore ma, sia per le amputazioni che subiscono, sia perchè appartengono in genere alla produzione media, esse possono lasciare interdetto lo spettatore che, giustamente, si accosta alla produzione sovietica con fiduciosa attesa.
           L'estrema rarità dei visti concessi dalle nostre autorità governative dà, necessariamente, alla comparsa di un film sovietico sui nostri schermi l'aspetto di un avvenimento. La particolare attenzione che i critici comunisti dimostrano per i films sovietici che si vanno proiettando trova quindi la sua origine nelle esigenze di fissare, attraverso le poche concrete occasioni che si presentano, i termini e il livello generale dalla produzione cinematografica dell'URSS.
           Proprio in occasione della comparsa in Italia del film «I cosacchi del Kuban » di Pyriev, la rivista «Cinema Nuovo», partendo da considerazioni analoghe alle tue, affermava che «una delle cause di tale situazione è da ricercare nell'atteggiamento antiliberale della nostra censura, che concede il visto a pochissimi films sovietici, del tutto insufficienti a rappresentare l'attuale produzione dell'URSS».
           Credo che il mio discorso possa fermarsi a queste considerazioni di ordine generale, che ritengo pienamente obiettive, senza inoltrarci nel giudizio dell'opera che ha originato la tua lettera. Il film «I cosacchi del Kuban» è giunto a noi non nella edizione completa e ciononostante si presenta indubbiamente come un documento fresco e vivo del mondo sereno e gioioso dei grandi kolkos, della vita e dei costumi dei villaggi socialisti (le riprese sono state effettuate nel villaggio Kurgan del Caucaso con la partecipazione di veri contadini), come un pregevole documento della commedia musicale sovietica in cui il canto e il suono non sono mai elemento decorativo ma parti essenziali della narrazione.




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