Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Patto Gentiloni (1953)

Nel corso della recente polemica elettorale con i liberali è stato ricordato frequentemente il patto Gentiloni. Qual'è stata la natura di questo patto? E' vero che si tratta di un accordo fra liberali e clericali simile a quello recente dell'apparentamento e della legge truffa? (Luigi Di Carlo - Genova)

           Il patto Gentiloni risale al 1913, la legge truffa e il conseguente apparentamento tra clericali e liberali sono del 1953: quaranta anni di storia del nostro Paese non possono essere trascorsi invano ed appare perciò molto semplicistico porre sullo stesso piano, come ha fatto anche recentemente qualcuno, fra i quali Umberto V. Cavassa (Secolo XIX del 31 maggio scorso) due diversi fatti politici legati a situazioni politiche molto diverse.
           Il patto Gentiloni costituisce un momento — molto importante indubbiamente — del graduale inserimento delle masse cattoliche nella vita politica attiva del nostro Paese. La formula di Don Margotti, campione del più spinto «intransigentismo» cattolico col suo giornale «L'Annuario della religione con la civiltà» fondato nel 1848, «né eletti né elettori» che nella famosa enciclica di Leone XIII «Non expedit» (divieto per i cattolici di usare il voto politico) aveva trovato un'altissima solenne ufficialità, appariva ormai logora. (Vale la pena qui di ricordare per misurare non solo la distanza di tempo e di storia che ci separa da quel periodo ma anche la estrema variabilità dei decreti del Santo Uffizio, che nel 1888 era definita colpa grave l'esercizio del voto mentre attualmente colpa grave è l'astensione dal voto: i nipoti possono trovarsi ad essere peccatori per ragioni completamente opposte a quelle dei loro nonni..»).
           La prima lacerazione di fatto della «Non expedit» era già avvenuta nel 1904, in occasione delle elezioni effettuate subito dopo il primo grande sciopero generale dei lavoratori italiani che aveva dato la misura dello sviluppo raggiunto dal movimento operaio del nostro Paese.
           Allora la paura della borghesia italiana e la sua incapacità di seguire il cammino della storia erano esplose nell'odio reazionario: le elezioni politiche, fissate per il novembre del 1904, avrebbero dovuto dare ai ceti dominanti nuovo potere e nuova forza per comprimere il movimento popolare. I voti delle masse cattoliche, orientate in senso antipopolare e antisocialista, furono considerati allora necessari per spingere indietro i «sovversivi». Ma i tempi non erano ancora maturi per l'abolizione del «Non expedit», anche perchè il Vaticano non poteva ancora contare su un partito clericale. Sarebbe stato sufficiente però liberare le «coscienze» dal decreto del Santo Uffizio e a ciò provvide Pio X con la famosa frase «fate quello che vi detta la vostra coscienza» pronunciata dinanzi ad una delegazione inviata dalla papalissima Bergamo per sostenere l'esigenza per i cattolici di concorrere alle elezioni politiche.
           La formula «né eletti né elettori» si trasforma di fatto, in quel momento della vita politica italiana (la cui importanza è messa in rilievo anche da Gramsci, in 'Note sul Machiavelli', Einaudi, 1949, pagg. 235 - 236), nella nuova formula «elettori ma non eletti», che di fatto rappresenta la fine dell'intransigentismo cattolico.
           Un ulteriore, decisivo, passo in avanti è costituito appunto dal patto Gentiloni (che trae il suo nome dal conte Ottorino Gentiloni, presidente dell'Unione Elettorale Cattolica Italiana) e che fu stipulato più con Giolitti che con il Partito Liberale.
           I termini del patto fissavano la presentazione di candidature clericali nelle zone a sicuro elettorato cattolico e l'appoggio dei cattolici al candidato liberale delle altre zone allo scopo di raggiungere una concentrazione di voti contro i candidati del popolo. Le contropartite dei liberali all'appoggio clericale erano costituite dall'impegno di non ostacolare la scuola privata, di tenere posizioni antidivorziste e di opporsi ad ogni proposta di legge in odio alle Congregazioni religiose.
           Si era nel 1913 e stavano per effettuarsi le prime elezioni politiche dopo l'attuazione, voluta proprio da Giolitti, del suffragio quasi universale (dai 3.000.000 di elettori della fine del secolo si passò di colpo, con la riforma elettorale, a circa 8 milioni e mezzo) e l'atteggiamento di Giolitti in questo periodo fa risaltare quegli elementi di contraddizione e talvolta di confusione, caratteristici della politica giolittiana, che sono stati magistralmente analizzati da Togliatti nel suo «Discorso su Giolitti» (Ediz. Rinascita, 1950).
           Dopo aver dimostrato di avere avvertito l'esigenza di uno sviluppo in senso democratico della società nazionale, Giolitti appare come spaventato dell'avvento alla direzione della cosa pubblica di più larghe rappresentanze delle forze nuove e scende ad un compromesso con le forze più apertamente reazionarie.
           Questo aspetto della politica giolittiana è limpidamente illustrato da Togliatti: «Nei rapporti con la Chiesa... la formula Giolitti, che parla delle parallele che non si incontrano mai, è nella corretta tradizione cavouriana; ma nella pratica il suo liberalismo cerca alleati nel campo clericale per far fronte alla spinta socialista, evoca cioè una forza antiliberale».
           L'apparentamento della legge truffa fra clericali e liberali ha lo stesso fondamento antipopolare e antisocialista; ma allora il potere era dei liberali e i voti cattolici dovevano servire per mantenere e rafforzare il potere dei liberali, ora al potere vi erano i clericali e i voti liberali, o almeno, quei rimasugli di voti cosidetti liberali, avrebbero dovuto servire a mantenere e a rafforzare il potere dei clericali delle forze più illiberali e più antiliberali, prima ancora che antisocialiste, della nostra storia.
           I liberali del nostro tempo, tipo Villabruna (e i loro commendatori di obbligo tipo Cavassa) hanno cercato di quietare le loro coscienze riportandosi ai trascorsi giolittiani del patto Gentiloni, ma ciò non poteva attenuare in nulla le loro responsabilità storiche e politiche.
           Ad ogni modo, a toglierli dall'imbarazzo ha provveduto il popolo italiano bocciando solennemente la legge truffa e tutti i pateracchi elettorali a cui essa aveva dato corpo.




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