Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Il "caso Luce" (1953)

Sono rimasta molto sorpresa del modo con il quale avete commentato la nomina di una donna alla carica di ambasciatore degli Stati Uniti in Italia. Nella vostra propaganda parlate spesso, e giustamente, dell'emancipazione della donna, ma ciò non vi ha evitato di fare dell'ironia e del pettegolezzo per l'arrivo della signora Clara Luce a Roma. Forse perché si tratta di una donna americana? (Luisa M. - Genova)

           Mi pare che la signora M. voglia attribuire a noi, ai comunisti ed alla stampa comunista, tutto quello che si è detto e si è scritto sul caso Luce.
           La designazione della signora Clara Boothe Luce a rappresentante in Italia della Repubblica stellata ha suscitato un grande clamore sia negli Stati Uniti che nel nostro Paese, proprio perché nel mondo in cui italiani e americani vivono la nomina di una donna a posti di grande responsabilità rappresenta un fatto straordinario. Tanto straordinario da essere giudicato a priori di origine sospetta e da autorizzare ogni interpretazione e ogni descrizione sulla base dello sciocco metro della frivolezza, del pettegolezzo, della superficialità che sembra essere la misura d'obbligo nel mondo borghese quando si tratta di valutare la personalità femminile.
           Il caso Luce non va giudicato in astratto, discutendo più o meno piacevolmente se una donna possa o non possa essere investita di alte responsabilità. A una tale questione noi abbiamo risposto non solo con i nostri principii ma con la nostra azione e in proposito credo sufficiente ricordarle un solo caso: il sindaco della città di Ferrara, città ricca di tradizioni, di storia, di attività economiche industriali e agricole, è una donna, una comunista.
           Il caso Luce va dunque giudicato in concreto, nei termini di fatto che lo hanno originato ed accompagnato e non è certo colpa nostra se tali termini non siano tali da incoraggiare coloro che volessero esaltare la nomina della signora americana come una vittoria della lotta per la perfetta eguaglianza dei sessi.
           Il caso Luce, come esso è nato e come si è presentato al giudizio degli italiani, giustifica il tono poco edificante con cui si è andata descrivendo tutta la faccenda.
           Pare che la recente storia degli USA stia creando una singolare tradizione: ogni nuovo Presidente ha una nuova ambasciatrice da collocare in qualche Paese del mondo.
           Cominciò Truman che dovette compensare una certa signora Perle Meste dei preziosi servigi resigli nel corso della campagna elettorale nominandola ambasciatrice nel Lussemburgo. Ciò non suscitò allora troppo chiasso, forse perché alcune famose operette avevano fatto del Lussemburgo il Paese nel quale l'arrivo di una galoppina elettorale con la feluca di ambasciatore non avrebbe dovuto stupire nessuno.
           Per Eisenhower la questione è apparsa però parecchio più complicata. Anche se il Lussemburgo fosse stato ancora disponibile «Ike» si sarebbe trovato lo stesso di fronte a delle gravi difficoltà poiché questa volta non si trattava di compensare un'agente elettorale qualsiasi ma di acquietare una donna la cui smodata ambizione era aggravata dall'essere essa moglie del signor Henry Luce, proprietario di «Life», «Time» e «Fortune», le riviste a grande tiratura che avevano sostenuto la candidatura del generale.
           I coniugi Luce non si sarebbero accontentati di un Lussemburgo qualsiasi, ma il problema non appariva di semplice soluzione poiché esso avrebbe dovuto superare una contraddizione di origine: per le ambizioni della signora Luce e per gli interessi del consorte occorreva un Paese di prestigio ma ad un Paese di prestigio non poteva rifilarsi un ambasciatore le cui credenziali erano state determinate nella corrotta atmosfera delle elezioni americane.
           Eisenhower ha trovato la soluzione del problema pensando al suo De Gasperi. E chi può attribuirci uno spirito anti-femminista quando, non per il fatto che il nuovo ambasciatore americano in Italia sia una donna, ma per gli intrighi e gli interessi che contornano la questione noi vediamo nel caso Luce una conferma di quale sia la considerazione in cui il padrone americano tiene il governo di De Gasperi?
           L'Italia si è trovata ad essere il Lussemburgo della situazione, ma tutto ciò non riguarda il popolo italiano, riguarda coloro che con la loro politica di servilismo hanno fatto scendere il nostro Paese tanto in basso nella scala dei valori internazionali.
           La stampa borghese — e particolarmente l'immancabile «rotocalco» — ha provveduto ad aggiungere alla vergogna il ridicolo. E' stata la stampa borghese che ha presentato, fra le benemerenze della Luce, le gambe dell'ambasciatrice, battute solo da quelle della Marlene del bei tempi; sono stati i giornali del grande capitale che, all'annuncio della nomina, non ci hanno parlato della cultura o dell'intelligenza o delle particolari esperienze di vita politica della neo ambasciatrice che non fossero quelle di agitare la paglietta con la scritta «Ike», ma si sono abbandonati alle descrizioni di «bellezze eteree». di «diafani pallori», di «sorrisi dolci ma fermi», di «Luce come la luce del sole».
           Quando poi la Luce è apparsa sulle banchine di Napoli l'entusiasmo del «rotocalco» è sceso di colpo non sappiamo se per il rapido svanire al sole di Napoli dell'«eterea bellezza» cinquantenne (sono apparsi inaccettabili i guanti bianchi troppo lunghi e le scarpe con il cinturino alle caviglie) o per l'annuncio dato dall'ambasciatore consorte Henry Luce della sua intenzione di pubblicare una edizione italiana della rivista «Life» che, sino od oggi ispiratrice del nostro «rotocalco» potrebbe diventare il seppellitore delle sue ultime fortune.
           Creda pure, gentile signora Luisa M., proprio non ne abbiamo colpa noi comunisti se tutto l'«affare Luce» è apparso un mediocre quadro di rivista.




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