Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Socialismo e carattere nazionale (1953)

Vorrei anch'io palesare un mio particolare timore sull'affermazione di un regime socialista, indi comunista, in Italia, dal punto di vista del carattere del popolo italiano e cioè: se è possibile che il carattere più o meno fermo, serio, di un popolo influisca sulla solidità d'un ordinamento democratico. Pur riconoscendo i meriti della gente latina, non posso fare a meno di rilevare la differenza fra i popoli del sud, facili agli entusiasmi ed alle delusioni. Temo che tale leggerezza possa danneggiare l'intima struttura dell'ordinamento sociale a profitto della reazione. (Anna S. - Alassio)

           Una volta i teorici della borghesia avevano il compito di dimostrare, e i propagandisti più o meno in buona fede della classe dominante di ripetere riducendole a forma di slogan, le ponderose elucubrazioni dei soloni del capitalismo, che il Socialismo è una utopia e la sua dottrina fondamentale, il Marxismo, una astratta teoria filosofica o anche un semplice metodo storiografico di “dubbia consistenza scientifica”.
           Poi capitò la Rivoluzione d'Ottobre, il potere degli operai e dei contadini, ossia l'utopia, si presentò sulla scena della storia come una realtà e il Marxismo, arricchito dal Leninismo, apparve una concreta e completa concezione del mondo.
           E allora si corse ai ripari, si disse che la Rivoluzione Socialista solo in Russia poteva essere tentata, si tirò fuori il fatalismo slavo, l'ignoranza endemica del popolo russo, si creò una grande confusione di idee arrivando a parlare di morbo asiatico e scomodando l'anima di Gengis Kan. Il provincialismo della cultura borghese italiana poteva continuare a giocare sulla credenza di un popolo russo contemplativo che nei nuovi miti di Lenin e di Stalin trovava ancora il modo di soddisfare le esigenze della sua natura mistica.
           Comunque, oltre queste sciocchezze che non si possono nemmeno portare al livello di una qualsiasi degna concezione idealistica della storia, si disse e si continuò a dire per un bel po' che la faccenda non poteva durare.
           Ma sempre aspettando da un giorno all'altro il crollo del potere dei Soviet giunse invece il giorno in cui il vittorioso esercito sovietico innalzò la bandiera rossa a Berlino annunciando la salvezza della libertà per tutti i popoli dell'Europa, e capitò ancora che nuovi popoli iniziarono la nuova marcia gloriosa verso il Socialismo.
           Popoli di diversa strutturazione sociale, che nei secoli passati avevano camminato per vie distinte lungo la strada della storia, lontani e diversi nelle tradizioni, nei costumi, nella razza, nella religione, nella lingua, popoli come il cinese o il ceco, come il polacco e l'albanese, vennero a trovarsi nella stessa strada, la strada dell'edificazione del Socialismo.
           I fatti hanno distrutto per sempre le qualificazioni di utopia dell'ideale socialista, i fatti hanno distrutto le teorie pseudo-scientifiche che avrebbero voluto far dipendere dai caratteri di un popolo le possibilità di una trasformazione socialista prima e comunista poi della società.
           Pure non mi stupisco affatto, gentile Signora, che anche di fronte alla realtà, ancora oggi possano trovare un certo credito le enunciazioni a cui Lei si riferisce. E tanto meno è il caso di stupirsi in Italia dove non si è ancora riusciti a distruggere l'antica menzogna, che è una bestemmia nei confronti di tutto il popolo italiano, secondo la quale l'arretratezza del Mezzogiorno dipenderebbe dal carattere infingardo e dolce far-nientista dei meridionali e non dalle strutture sociali-feudali che ancora tengono soffocate quelle vive e generose popolazioni.
           Del resto, prima ancora dei fatti, la dottrina marxista aveva chiaramente fissato i termini delle questioni che lei pone. Nella “Ideologia tedesca” di Carlo Marx (Ist. Edit. Ital. 1947) è scritto che i presupposti da cui egli parte non sono arbitrari, non sono dogmi, ma sono presupposti realistici, sono gli individui reali, le loro azioni e le loro materiali condizioni di vita. E gli individui, dice ancora Marx, sono quali li fa il modo di esplicare la loro vita, ciò che essi sono dipende dalle condizioni materiali della loro produzione (pagg. 45-46).
           E Gramsci (Materialismo storico, Einaudi, 1949), afferma che le differenze dell'uomo che contano nella storia non solo quelle biologiche (razze, conformazione del cranio, colore della pelle, ecc.), poiché “l'uomo non è il paese dove abita”.
           La forza principale che determina la fisionomia di una società non è il cosiddetto temperamento dei popoli o la passionalità maggiore o minore che ne caratterizza l'azione; la forza principale che determina le idee, le concezioni, le istituzioni politiche di una società è costituita dal modo con cui si procacciano i mezzi di sussistenza necessari per la vita degli uomini, dal modo di produzione dei beni materiali necessari perché la società possa vivere e svilupparsi. Per quanto si riferisce a come un popolo possa raggiungere un piano superiore di costruzione sociale, come possa passare dalla società capitalistica alla società socialista, qui veramente si possono introdurre differenziazioni tra popolo e popolo. Voglio in proposito ricordarle quanto diceva Lenin al III Congresso discutendo gli aspetti della scissione di Livorno: “La Rivoluzione in Italia non si svolgerà come si è svolta in Russia. Incomincerà in un altro modo. In che modo precisamente? Non lo sappiamo né io né voi”.
           Non sappiamo né il modo né il momento, quello di cui siamo certi è che anche il popolo italiano, ha le qualità e le capacità, ed ora possiamo dire anche la maturità storica, per poter prendere in mano il proprio destino.




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