Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Art. 7 (1952)

E' vero che l'atteggiamento del P.C.I. è stato determinante ai fini dell'approvazione dell'art. 7 della Costituzione e che se i comunisti avessero votato contro non si sarebbe ottenuta la necessaria maggioranza? (Rocco Bovio, Via Rivarolo 5-4, Genova, Rivarolo)

           Alla votazione dell'art. 7 della Costituzione parteciparono 499 deputati su 556: per ottenere la necessaria maggioranza assoluta occorreva dunque raggiungere i 250 voti favorevoli. Poiché 149 deputati votarono contro l'art. 7, se anche i comunisti presenti alla votazione — 96 sui 104 eletti alla Costituente — avessero votato «No», non sarebbe stato capovolto l'esito della votazione: invece di 350 voti favorevoli e 149 contrari si sarebbero avuti 254 voti favorevoli e 245 contrari e il risultato di fatto sarebbe stato lo stesso.
           Ma i termini della questione non si pongono sull'esito della votazione e tanto meno su come la posizione dei comunisti influì su tale esito: ritieni forse che il giudizio sulla giustezza o meno di una determinata posizione possa cambiare secondo i risultati di una votazione?
           Credo di capire perchè, ad oltre cinque anni e mezzo di distanza, la questione dell'art. 7 possa essere riproposta. Credo che sia capitato anche a te quello che capita a qualche altro compagno, credo che discutendo con qualche filo-governativo cosiddetto laico e denunciando la progressiva clericalizzazione dello Stato tu ti sia sentito rispondere: «La colpa è di voi comunisti che avete votato a favore dell'art. 7, se aveste votato contro, come abbiamo fatto noi repubblicani (o noi socialdemocratici), le cose sarebbero andate ben diversamente».
           Questa affermazione non va controbattuta con il solo dato di fatto che anche col voto contrario dei comunisti l'art. 7 sarebbe stato lo stesso approvato, poiché i termini della questione non sono statistici ma sono politici e ideologici oggi come lo erano cinque anni fa.
           Non è qui il caso di riprendere la discussione sviluppata a fondo, allora, nel Partito e nel Paese. Del resto è sufficiente che tu rilegga il grande discorso che il compagno Togliatti pronunciò all'Assemblea Costituente il 25 Marzo 1947 in sede di dichiarazione di voto sull'art. 7, nel quale furono limpidamente enunciati i termini politici della «pace religiosa» necessaria al nostro Paese e i termini ideologici dell'inesistenza di contrasti sia tra regime socialista e coscienza religiosa del popolo, sia ancora tra regime socialista e libertà religiosa della Chiesa cattolica, affinché tu possa documentarti sulla chiarezza e, sulla giustezza della posizione dei comunisti.
           Credo piuttosto che dovresti chiedere al filo-governativo laico che ancora oggi «teorizza» o fa del «massimalismo» sull'art. 7, se l'alleanza dei socialdemocratici, dei liberali e dei repubblicani con il partito cattolico strettamente legato al Vaticano, se l'accettazione di fatto, da parte di questa forze che si proclamano «laiche», del ricatto ideologico del Vaticano alla coscienza politica degli italiani, se il loro tacito assenso all'azione dei Comitati Civici, vere centrali di terrorismo religioso, di brogli e di intimidazioni, se la loro piena ed attiva adesione ad una politica interna antipopolare e ad una politica estera servilmente bellicista diretta dal partito dominante, se insomma gli «apparentamenti», gli «accordi» e tutte le altre forme di corruzione, di intrigo, di trucco, con le quali i «partitini» hanno caratterizzato il loro tradimento e la loro capitolazione, non siano le forme stesse dello sviluppo dell'invadenza clericale nella nostra vita nazionale.
           Pacciardi e Saragat hanno votato contro l'art. 7 ma, oggi, approvano, fra l'altro, lo stanziamento di 8 miliardi per la costruzione di chiese e di case parrocchiali a spese del contribuente italiano.




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