Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Libertà di professione (1952)

Ho visto sui muri di Genova un manifesto intitolato «Attualità contro la disoccupazione» nel quale da una parte ai esaltavano le provvidenze governative contro la disoccupazione, dall'altra si diceva delle condizioni dei lavoratori nel Paesi dell'Europa orientale che sarebbero costretti ad accettare i compiti più gravosi senza possibilità alcuna di cambiare mestiere. (Tito Dagnino, Via dei Giardini 8-1, Genova)

           Mi dispiace di non aver visto i manifesti di cui mi parli e quindi di non poter rispondere, forse, perfettamente a tono. Sono stato qualche tempo lontano da Genova e presumo che il manifesto in questione sia stato affisso durante la mia assenza. Non mi sarebbe sfuggito perchè, cercando di essere sempre un diligente cittadino, sono un attento lettore di manifesti: in essi vi è spesso materia non solo di conoscenza ma anche di meditazione (specie quando si tratta di manifesti di richiamo alle armi o di applicazioni di nuove imposte...).
           Ma, senza poterlo prevedere, la mia assenza, fra l'altro, mi permetteva di acquisire qualche elemento utile per risponderti poiché in Ungheria, dove mi trovavo, ho avuto modo di conoscere direttamente le condizioni dei lavoratori.
           Prima di dirti qualcosa sulla «coazione» a cui sarebbero sottoposti i lavoratori nei Paesi di democrazia popolare, permettimi che faccia una sola considerazione sul manifesto che ha originato la tua lettera: non ti sembra un po' grossa che si commiserino i lavoratori cecoslovacchi o ungheresi o rumeni per il fatto che non potrebbero cambiare mestiere nello stesso momento in cui si confessa che per qualche milione di lavoratori italiani il problema non è quello di cambiare mestiere ma di riuscire ad esercitare un qualsiasi mestiere?
           Vi sono anche bugiardi intelligenti, la propaganda americana è solo bugiarda ed è solo una grossa e stupida bugia l'affermazione sul lavoro «bloccato» che esisterebbe nelle democrazia popolari.
           In tali Paesi, e più ancora, ovviamente. nell'Unione Sovietica, il lavoratore ha solo l'imbarazzo della scelta.
           Nella Repubblica popolare ungherese all'ingresso dei cantieri e delle fabbriche, negli annunci economici dei giornali, nella stessa pubblicità cinematografica ho trovato le frasi ricorrenti: «Si assumono operai», «Venite a lavorare nell'industria». Si richiedono ovunque lavoratori di tutte le categorie, poiché lo sviluppo del processo produttivo precede spesso la stessa potenzialità numerica d'opera e la formazione di quadri specializzati.
           La selezione, la scelta, la qualifica avvengono sulla base della capacità: sono le attitudini, la volontà, lo studio, l'applicazione del lavoratore che decidono sul suo orientamento professionale.
           Quello che è vero è che nelle fabbriche e negli uffici si fa una politica di quadri; si seguono, si consigliano, si istruiscono i lavoratori affinché siano sempre più in grado di contribuire, per il proprio bene e per il bene collettivo, allo sviluppo della produzione. E quando un lavoratore chiede il trasferimento se ne ricercano i motivi poiché essi possono essere talvolta d'ordine generale e possono quindi, una volta conosciuti dai dirigenti della fabbrica o dell'ufficio, suggerire perfezionamenti nell'ordinamento del lavoro.
           Tale politica di quadri si esprime anche nel creare particolari condizioni di legame con la fabbrica tenendo in grande considerazione le esigenze di carattere familiare e personale del lavoratore. Così, ad esempio, la creazione di zone residenziali con teatri, cinema, case di cultura, campi sportivi, ecc., accanto alle zone industriali è uno dei fattori di stabilità del lavoratore che, talvolta, solo per questioni di comodità di alloggio o per esigenze culturali o ricreative o sportive potrebbe essere spinto a chiedere il trasferimento.
           Quello che è certo è che non esiste né nelle democrazie popolari né nell'URSS nessuna legge e nessun regolamento che impongono al lavoratore la permanenza in un determinato posto di lavoro.
           Uno degli obiettivi del socialismo, realtà dell'URSS e meta sicura delle democrazie popolari, è esattamente il contrario di quello che gli attribuiscono i propagandisti del capitalismo: realizzare le condizioni affinché ogni cittadino possa acquistare una istruzione sufficiente che gli permetta di scegliere liberamente una professione.
           Il compagno Stalin nel suo recente scritto: "Problemi economici del socialismo nell'URSS" nella tesi «Sugli errori del compagno L. P. Iaroscenko» trattando delle condizioni fondamentali per il passaggio al comunismo ha scritto «E' necessario, in terzo luogo, raggiungere un tale sviluppo culturale della società che assicuri a tutti i membri della società uno sviluppo completo delle loro capacità fisiche e intellettuali» affinché i membri della società possano ricevere una istruzione sufficiente per diventare attivi fattori dello sviluppo sociale, abbiano la possibilità di scegliere liberamente una professione, non siano inchiodati per tutta la vita, in seguito alla sussistente divisione del lavoro, a una professione qualsiasi».




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