Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Fascismo e guerra (1952)

Discutendo sul pericolo del risorgere del fascismo ci siamo trovati di fronte a due tesi: 1) finché non si instaura il fascismo l'Italia non può essere portata alla guerra, quindi occorre puntare sulla lotta antifascista; 2) anche senza il fascismo è possibile portare l'Italia alla guerra, quindi occorre puntare sulla lotta per la pace. (Un gruppo di amici e compagni di S.P. D'Arena)

           La vostra discussione, cari amici e compagni di Sampierdarena, ha una impostazione, a mio giudizio, non del tutto chiara e esatta, poiché essa, a quanto si può intendere dalla vostra lettera identifica – e vorrei dire limita – il fascismo alla forma aperta della dittatura mussoliniana, così come esso si è configurato nel corso dello sciagurato ventennio. Quando si parla del ritorno del fascismo troppa gente, e credo anche qualcuno fra di voi, pensa esclusivamente all'assalto violento e aperto contro le organizzazioni dei lavoratori, contro i partiti democratici, contro le libertà costituzionali. Quando si parla del ritorno del fascismo troppa gente ne vede l'aspetto concreto solo nel M.S.I., nell'organizzazione politica che per la figura dei suoi dirigenti, per le forme dei suoi “rapporti”, per il contenuto del suo programma, è fascista senza sottintesi, anzi è “orgogliosamente fascista”, secondo lo stile tronfio e vuoto del gerarchismo littoriano.
           Per definire e per individuare il fascismo non è sufficiente considerarne gli aspetti e le manifestazioni esteriori, occorre conoscerne i caratteri organici fondamentali, per smascherare certi partiti che si definiscono democratici ma che agiscono secondo una concezione fascista. Tanto più che, almeno sino ad oggi, i centri reazionari italiani non gradiscono le forme aperte del ritorno del fascismo poiché esse, troppo note, sono respinte con ripugnanza dal popolo italiano, nella stragrande maggioranza sempre antifascista. In questa situazione il fascismo dei missini, che sta al gioco di fare l'”opposizione” al governo, può essere utile alle forme reazionarie per mascherare l'orientamento fascista e le forme fasciste in atto della politica governativa.
           Si può giungere al paradosso della posizione di Scelba, che ha definito la Costituzione una trappola, che ha scatenato la polizia contro le organizzazioni e le manifestazioni dei lavoratori, che ha elaborato la legge tipicamente fascista della cosidetta difesa civile, che nella politica di governo si avvale delle leggi di Mussolini, tenute scrupolosamente in vigore, per ostacolare la vita democratica del Paese; di Scelba, campione dell'anticomunismo (l'anticomunista, quando non è già fascista, si trova, anche se non lo sa, nell'anticamera del fascismo), e può permettersi il lusso di tuonare al Parlamento contro il fascismo presentando una legge per la soppressione delle attività fasciste.
           In questa situazione può anche capitare che Pacciardi porti sempre alto il pennacchio del suo “antifascismo” facendo finta di scambiarsi ingiurie con i gerarchi del M.S.I., ma operando nei fatti con metodo fascista, come quando licenzia sulla base della discriminazione politica migliaia di lavoratori dagli stabilimenti dipendenti dal suo Ministero.
           Per seguire una direttiva fascista non è necessario indossare l'orbace e marciare a passo romano, è più che sufficiente giungere alla sostanza, è più che sufficiente provvedere a preparare leggi “polivalenti”, leggi antisindacali, leggi elettorali che operino, per i voti a favore dei partiti governativi, il miracolo della moltiplicazione del pane e dei pesci.
           Perciò parlare di restaurazione del fascismo solo nel senso di ritorno, con i suoi uomini e nei suoi aspetti, di quello che già abbiamo conosciuto, sarebbe un grande errore.
           Fascismo e guerra hanno le loro radici negli stessi gruppi sociali, “nei gruppi più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario”, come diceva Dimitrov.
           Fascismo e guerra sono strettamente legati e proprio perché la politica dell'attuale governo, dominato dalla Democrazia cristiana, è una politica di guerra, la sua politica interna ha una larga impronta fascista.
           Vorrei suggerirvi, a questo proposito, di rileggere l'editoriale “Fascismo e guerra” pubblicato nel numero di marzo, del 1948 in “Rinascita”, alla vigilia del 18 aprile, nel quale, con prodigiosa chiarezza e precisione di analisi, venivano delineate quali sarebbero state le conseguenze per il popolo italiano di una vittoria della coalizione reazionaria che aveva ed ha al suo centro la Democrazia cristiana. Tra l'altro, nell'articolo in questione, è ricordato un passo di una relazione presentata a Washington nel febbraio del 1948 di un Sottocomitato americano della commissione parlamentare degli esteri in cui si chiedeva per i Paesi non comunisti d'Europa (i Paesi destinati a diventare “atlantici”), la “correzione di certe pratiche ultrademocratiche come la rappresentanza proporzionale”, cosa che ci prova quali origini lontane nel tempo e nello spazio abbiano le tesi di questi giorni di De Gasperi, di Gonella, di Saragat sulla “proporzionale, corretta”.
           La lotta contro il fascismo è lotta per la difesa delle libertà costituzionali e per l'applicazione effettiva della Costituzione e quindi è lotta contro la guerra, poiché la strada della guerra è lo sbocco della strada del fascismo. E' chiaro però che la lotta antifascista è solo un aspetto, sia pure molto importante, della lotta per la pace, la quale resta al centro di tutta l'azione delle forze democratiche italiane, poiché essa non comprende tutti gli altri aspetti della vita nazionali che sono influenzati da una politica di guerra. La lotta per la pace non è solo difesa delle libertà costituzionali, è anche difesa dell'indipendenza nazionale, è difesa dell'economia nazionale, è difesa della solidarietà internazionale, è difesa dei principi stessi della convivenza umana.




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