Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Funzione sociale dell'arte (1952)

Secondo alcuni amici l'artista per essere tale deve fare dell'arte senza badare a critiche, fare come gli indica la testa sua, senza seguire determinate teorie. Dicono pure i miei amici che nell'Unione Sovietica agli artisti è preclusa la via dell'arte, poiché essi hanno i temi obbligati dei ritratti di Stalin o delle realizzazioni del potere sovietico. Secondo me invece l'artista è tale quando si inserisce nella realtà della vita e accompagna la lotta dell'umanità e del progresso e nell'URSS l'arte è veramente del popolo perché i temi che essa dibatte scaturiscono dalla viva realtà del nuovo sistema sociale. (Luciano Tizzi – C.I. Servettaz Basevi – Savona) / Mi inserisco nel dibattito sulla Mostra di Rivarolo. Noi dobbiamo lottare affinché gli artisti producano opere comprensibili a tutto il popolo, affinché nei loro quadri le forze creative dell'uomo non siano rappresentate in forme grottesche. I lavoratori in tal caso non criticano il contenuto dell'opera, che nel concetto dell'artista può essere alto e nobile, ma le deformazioni con cui rappresenta la vita del popolo. (G. Rizzo – Campoligure)

           Dalle questioni poste in queste lettere emergono i termini essenziali del discorso sull'arte così come esso è espresso non solo da sconcertati lavoratori dinnanzi a quadri incomprensibili, ma della stessa critica più “esperta”.
           E' un discorso antico che attualmente la decadenza dell'arte borghese ha generalizzato, è il discorso fra coloro che concepiscono l'arte come una espressione individuale, pura “forma” staccata dal contenuto, e coloro che concepiscono l'arte come riflesso della realtà, che deve riuscire a parlare a tutti gli uomini e che interviene, con i suoi particolari mezzi, nella lotta che divampa fra le varie forze operanti nella storia. E' un discorso che per i comunisti risulta semplice, poiché il marxismo insegna anche che l'arte è legata al sistema dei rapporti sociali entro i quali essa si sviluppa, ma che non è esclusivo dei comunisti poiché esso scaturisce, potremmo dire spontaneamente, in tutti coloro che respingono le forme di decadenza, anche se non sanno individuarne le cause.
           Per l'artista il problema è quello di saper capire la realtà (artisti che possono sempre definirsi grandi per i mezzi formali e culturali di cui dispongono non dicono più nulla a nessuno perché si sono chiusi nella loro torre d'avorio) e nella realtà discernere ciò che muore e ciò che nasce, ciò che si sviluppa e ciò che si esaurisce.
           Per il “lettore” dell'opera d'arte il problema è fondamentalmente lo stesso, poiché può essere negata la comprensione d'una opera anche al più erudito critico, quando esso tenga chiusi gli occhi dinnanzi alla realtà.
           Nella Mostra di Rivarolo sono state accettate alcune opere la cui forma risulta staccata dal contenuto e ciò può essere criticato da un comunista o da chiunque, giustamente, non sappia che farsene dell'”arte per l'arte” e pretende dall'arte l'assolvimento di una funzione sociale. L'accettazione di tali opere nelle sale della Sezione Jori non significa che i comunisti sono d'accordo con la concezione che le ha espresse, essa ha voluto significare il riconoscimento di alcuni valori che, tra l'altro, hanno avuto il merito di suscitare un dibattito certamente non inutile.
           Poche parole sulla faccenda della “schiavitù” degli artisti dell'URSS, poiché qui siamo di fronte ad una applicazione, nel campo dell'arte, di una vecchia formula della propaganda antisovietica, quella della “schiavitù stalinista”.
           Ignoranza e malafede sono alla base delle sciocchezze che si ascoltano o che si leggono sulla situazione degli artisti nell'URSS.
           Coloro che in buona fede credono nella propaganda americana, se sfogliassero solo qualche pubblicazione sovietica, senza quindi neanche entrare in una discussione di carattere ideologico, nelle riproduzioni di opere di artisti sovietici troverebbero la smentita a quanto essi, purtroppo, vanno ripetendo. All'Associazione Italia-URSS si possono consultare le riviste “Iskustvo” e “La littèrature sovietique” nelle quali abbondano le riproduzioni di quadri di pittori sovietici. I dubbiosi vedrebbero non soltanto ritratti di Stalin (perché poi non si dovrebbero fare ritratti di Stalin? Nel passato tutte le forti personalità della storia hanno ispirato i grandi artisti, e proprio gli artisti sovietici dovrebbero, per far piacere agli americani di tutti i continenti, non soddisfare la loro profonda esigenza spirituale di affetto e di riconoscenza, la loro stessa esigenza di artisti, nei confronti dell'uomo che personifica la grande realtà della società socialista?), ma paesaggi, marine, ecc. Certamente sono anche frequenti le opere ispirate alle conquiste del socialismo, ma queste opere, proprio perché scaturiscono da una realtà umana e sociale e proprio perché in essa si inseriscono per esercitarvi una loro influenza, sono opere d'arte.
           Cosa si vuole che rappresentino gli artisti sovietici, forse il volto di Truman o di Ridgway o le “boites de nuit” di Parigi?
           Ricorda, caro compagno Tizzi, ai tuoi contradditori che è qui, nel “libero” mondo della “civiltà occidentale” che all'artista vengono imposti temi obbligati, pena l'ostracismo delle strutture della cultura ufficiale ed il ricatto economico. Ricorda loro l'intervista del regista De Santis dei film che “non s'han da fare”, il libro di Vitaliano Brancati – scrittore certo non comunista – sulla censura clericale, la chiusura a Roma, con l'intervento della polizia, della mostra “L'arte contro la barbarie” che conteneva opere dei massimi pittori italiani, la proibizione della rappresentazione al Festival di Venezia di “Madre coraggio” di Bertold Brecht, il dramma “Trenta denari” di Howard Fast vietato in America.
           E mi fermo qui non perché mi manchino altri esempi, ma perché mi manca lo spazio.




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