Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Cos'è la politica? (1952)

Molto spesso, quando si discutono i problemi dei sindacati, delle amministrazioni comunali, delle cooperative, delle associazioni, della Resistenza, ecc., problemi che si legano con la situazione generale del Paese, si sente dire: “Non facciamo della politica, la vita di questo o di quell'organismo si svolge fuori della politica. Cos'è questa “politica”? E' giusto quanto si dice? (Tessera 0476288 – Apuania)

           Non credo sia possibile rispondere qui in modo appena soddisfacente alla grande domanda “cos'è la politica?”. Questa domanda ha diverse risposte secondo le diverse concezioni che si possono avere della storia, da quella marxista, a quella idealista, a quella individualista “eroica”.
           Solo per intenderci su quanto andremo dicendo, posso limitarmi a ricordare che la politica riguarda quell'aspetto dell'attività umana che investe i problemi della organizzazione dello Stato, sia in relazione alle lotte fra le classi e i partiti (politica interna), sia per i rapporti fra Stato e Stato (politica estera), sia ancora per gli aspetti della direzione dei fenomeni economici da parte dello Stato (politica economica). E' evidente che politica interna, estera, economica, ecc. non costituiscono settori distinti, ma hanno una stretta interdipendenza.
           Per mantenermi al tema della domanda, credo che non della “politica” qui si debba discorrere, ma della “apoliticità” ossia di quel principio secondo il quale l'attività politica dovrebbe essere riservata ai partiti politici per definizione, mentre tutti gli altri organismi dovrebbero, secondo una frase corrente, “essere al di sopra della mischia”. E qui ritengo opportuno di dover esprimere una precisa opinione: la cosidetta “apoliticità” è di per se stessa una posizione politica e, per di più, una posizione politica di parte conforme, in una società divisa in classi qual'è quella capitalista, agli interessi della classe dominante, ossia della classe capitalista.
           Siamo d'accordo sul principio della apartiticità di organismi che affrontano problemi la cui soluzione prescinda da impostazioni ideologiche, siamo d'accordo sulla apartiticità di un sindacato, di una cooperativa, di una associazione della Resistenza. Ma apartiticità se significa indipendenza dai partiti, non può significare distacco dalla grande realtà della vita di una Nazione che, necessariamente, trae dai fattori politici i fermenti continui per il suo sviluppo.
           La teoria assoluta della apoliticità è tipica dei regimi reazionari e, quali aspetti recenti di tale verità, basterebbe ricordare alcune formule fasciste come “qui non si parla di politica” o “lavorare e tacere”.
           Del resto nella lotta millenaria fra conservazione e progresso chi si rifiuta di assumere una posizione non si pone in termini di equidistanza o di neutralità, esso si schiera di fatto a fianco delle forze della conservazione, poiché accetta, in definitiva, con il suo agnosticismo, quel determinato assetto sociale.
           La teoria della apoliticità è professata da uomini o da forze sociali che ben sanno di politica, che puntano sull'indifferenza, sulla immaturità, sull'arretratezza di alcuni strati sociali o sul disorientamento della piccola borghesia per neutralizzare alcune forze e per rallentare la velocità di circolazione delle idee.
           La “base” degli apolitici è formata in modo vario. Vi sono apolitici che sono tali perché temono che il gioco politico possa insidiare le loro grandi o piccole conquiste di privilegio e sono quelli che si vantano di non appartenere a nessun partito politico, ma che in realtà, come diceva Lenin, appartengono “in forma ipocrita e mascherata al partito dei sazi”. Vi sono poi gli apolitici per immaturità o per esitazioni o per incertezze e costoro sono in genere tutt'altro che sazi ma che pure si trovano a puntellare gli sgabelli dei loro sfruttatori o dei responsabili della loro arretratezza.
           Le forze reazionarie sono così svisceratamente apolitiche che non vorrebbero i dibattiti politici neanche fra i partiti, e i governi della grande borghesia capitalista vorrebbero che la politica fosse fatta solo da loro.
           Cosa significano le leggi “polivalenti”, le leggi sulla stampa, cosa significa la teoria di De Gasperi, perfettamente eguale a quella di Mussolini, secondo la quale chi discute e non accetta la politica estera del governo si pone addirittura contro la Patria, cosa significano tutte le “provvidenze” dei regimi reazionari tendenti a limitare o a soffocare la vita politica in tutti i suoi aspetti, se non attuare nella pratica e in senso generale il principio della apoliticità della vita pubblica, se non la tendenza a “apoliticizzare” la vita di una Nazione?
           L'apoliticità viene ad identificarsi, nelle sue conclusioni, con l'antidemocrazia e un uomo democratico, ossia un uomo che pur senza accettare nessuna ideologia intende muoversi sul piano della convivenza democratica costituzionale, deve respingere il principio della “apoliticità”.




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