Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


L'esperanto (1952)

Perché il Partito Comunista, del quale sono un simpatizzante, appare agnostico sul problema della diffusione dell'Esperanto? Non crede, Signor Direttore, che se questa lingua fosse diffusa nel mondo ciò faciliterebbe il propagarsi dell'ideologia comunista, favorendo l'intesa fra i popoli? (Dott. Orlando Schiavelli – Genova)

           Nella mia risposta non vorrei togliere nulla all'entusiasmo che Lei mostra di avere per l'Esperanto. L'idea semplice e suggestiva della creazione di una lingua artificiale e universale, quale fattore di conoscenza e di affratellamento fra i popoli, ha avuto una particolare fortuna nel secolo scorso e nei primi decenni di questo secolo.
           Il fatto stesso che linguisti e scienziati di grande valore si siano applicati seriamente per elaborare grammatiche e vocabolari, che nella loro meccanicità potessero contenere elementi di vitalità permanente e già degno della massima considerazione, come della massima considerazione sono degni coloro che hanno intrapreso lo studio di lingue – come l'esperanto, il volapuk, l'interlingua, ecc. - sospinti da sentimenti di fraternità e di comunità mondiale che sono in definitiva sentimenti di pace e di progresso.
           Ma la formazione di una lingua è fondamentalmente storia, storia stessa del pensiero, e l'arricchimento e la trasformazione delle lingue è il riflesso di conquiste dell'uomo e di vittorie del progresso. Invertire i termini, pensare che la creazione artificiale di una lingua possa essere elemento attivo di progresso e di conquiste sociali o di eliminazione dei motivi profondi di contrasto fra Nazione e Nazione e fra classe e classe, significa perseguire una generosa illusione.
           Non è la differenza delle lingue che tiene divisi i popoli come non è la comunità di una lingua che assicura l'unità nazionale di un popolo.
           Dante aveva sin dal '300 portata la lingua italiana alle più alte vette del pensiero poetico, ma son dovuti trascorrere secoli per unificare il nostro Paese e ancora oggi non può dirsi concluso il lungo travaglio storico dell'unità nazionale.
           Così l'Unione Sovietica è un grande Stato unito, definitivamente unito, pur comprendendo popoli di diversa nazionalità e di diversa lingua.
           Del resto non pare che gli entusiasmi e le speranze che avevano accompagnato, nella seconda metà del secolo scorso, il sorgere delle lingue a formula universale abbiano trovato nella realtà la loro conferma. Come lei sa, lo stesso esperanto, la più nota e la più vitale delle lingue di cui stiamo discorrendo, ha poco più di 100.000 cultori in tutto il mondo. Le lingue fecondate artificialmente vivono – e possiamo anche dire muoiono – nelle ristrette incubatrici che le hanno create e, poiché lei chiede in proposito la nostra opinione di comunisti, non posso non dirle che secondo una analisi marxista non può che essere così.
           Il discorso sarebbe molto lungo e interessante, mi limito a suggerirle la lettura di un famoso e magistrale saggio di Giuseppe Stalin “A proposito del marxismo nella linguistica” che è stato pubblicato integralmente in Rinascita, giugno 1950, n. 6.
           Stalin chiarisce in modo definitivo come la lingua non sia legata ad una particolare struttura economica, come essa per essere veramente tale, ossia patrimonio di tutto un popolo indipendentemente dalla eventuale divisione in classi e dall'esistenza di gruppi sociali diversi, debba essere il prodotto di tutta una società, il prodotto di una serie di epoche la cui durata è più lunga della durata delle diverse strutture economiche, ossia della base di una società.
           Più particolarmente, per quanto si riferisce alla creazione di nuovi linguaggi, Stalin dimostra come “il passaggio di una lingua da una vecchia ad una nuova qualità non avviene per mezzo di una esplosione, per mezzo della distruzione della lingua esistente e della creazione di una nuova lingua, ma per mezzo della graduale accumulazione degli elementi della nuova qualità, e conseguentemente, per mezzo della graduale scomparsa degli elementi della vecchia qualità”.
           Anche nei riguardi di una lingua artificiale creata sia pure a scopo ausiliario, questa analisi marxista non può che essere pienamente valida.
           Le sarà facile comprendere, dopo la lettura dello scritto di Stalin, perché i comunisti, che pur apprezzano i nobili propositi che hanno guidato nel passato la fatica di famosi linguisti e alimentato le speranze dei loro proseliti, restano indifferenti di fronte alla questione della diffusione di lingue artificiali.




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