Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


I “lavori forzati” (1952)

Ho visto sui muri di Genova un manifesto dei sindacati liberi che riproduce la pianta dei campi di lavoro forzato che sarebbero esistenti nell'URSS. Poiché si annuncia un premio di mille dollari a chi è in grado di smentire quanto è affermato nel manifesto e poiché mille dollari mi farebbero comodo, puoi darmi gli elementi per presentarmi a riscuotere? (Carlo S. - Genova Nervi)

           Questa faccenda del premio in dollari offerto da organizzazioni che si dicono italiane a cittadini italiani chiarisce già qualche cosa. Chiarisce il Paese di origine di quello stupido manifesto di cui è stata presentata la traduzione in lingua italiana e fa supporre che certe organizzazioni nostrane, abituate a riscuotere in dollari, abbiano raggiunto la convinzione che il dollaro sia la moneta corrente nel nostro Paese.
           Siamo di fronte ad una ripresa di una tipica menzogna antisovietica che è nata con il nascere del grande Stato socialista e che, a turno con tutte le altre menzogne, ritorna secondo il ciclo stabilito dalle centrali della propaganda dell'imperialismo, magari con qualche “lancio straordinario” imposto da esigenze elettorali.
           Per dimostrare quale fondamento abbia questa campagna, basterebbe ricordare la figuraccia che fece un senatore americano che, in pubblica seduta al Senato al suo Paese, volle denunciare la deportazione nei “campi di lavoro forzato” in Siberia di undici milioni di cittadini delle Repubbliche Baltiche. Evidentemente le Repubbliche baltiche dovevano essere ridotte ad un silenzioso deserto e in quei campi la prolificità doveva essere stata eccezionale dato che Estonia, Lituania e Lettonia, tutte insieme, non raggiungono i sei milioni di abitanti...
           Nell'Unione Sovietica esistono i campi di lavoro correzionali creati nell'ordinamento giudiziale socialista, poiché per coloro che si pongono fuori delle leggi approvate dal popolo non viene seguito il metodo repressivo e punitivo della detenzione in case di pena ma quello rieducativo del lavoro. I residui morali e sociali della vecchia società zarista, i riflessi della corrotta società capitalista che possono giungere anche in un paese socialista accerchiato dall'imperialismo internazionale, non hanno permesso la scomparsa totale di ogni forma di delinquenza. La cosa importante è che mentre nella società socialista i delitti sono in continua diminuzione, in quella capitalista, con l'approfondirsi della corruzione e con l'allargamento della miseria, essi purtroppo sono in uno spaventoso aumento.
           I campi di lavoro correzionali sono tutt'altro che una vergogna dell'Unione Sovietica, provano, al contrario, come anche verso coloro che si pongono fuori dell'ordine collettivo una società profondamente umana qual'è quella socialista agisce non per punire ma per riabilitare.
           Questi campi non hanno nulla a che vedere con le carceri e i penitenziari entro le cui mura i condannati abbrutiscono nella più avvilente inattività. Il lavoro viene svolto con le stesse condizioni in cui lo svolgono i lavoratori liberi, esso è retribuito ed è anche premiato in base al suo rendimento, come avviene nei kolkos, nelle officine o nelle scuole sovietiche. I campi hanno una propria organizzazione collettiva, dispongono di biblioteche, di sale per spettacoli, di impianti sportivi.
           Per stroncare definitivamente la campagna sul “lavoro forzato”, nei primi mesi del 1950 il delegato sovietico al Consiglio Economico e Sociale dell'ONU propose una commissione d'inchiesta che indagasse sulle condizioni di lavoro in tutti i Paesi. Questa proposta venne respinta dai rappresentanti del blocco “occidentale”, poiché i governi imperialisti, mentre da una parte non vogliono rinunciare allo sfruttamento di una menzogna di grande effetto, dall'altra non vogliono che le condizioni di milioni di lavoratori soggetti allo sfruttamento più spietato nei Paesi dove dominano i monopoli siano ufficialmente denunciati di fronte a tutto il mondo.
           Coloro che costringono alla disoccupazione e alla miseria milioni di lavoratori, coloro che fanno sparare dalle loro polizie sui lavoratori che, “armati” di strumenti di lavoro, occupano le terre incolte o le fabbriche chiuse o iniziano una costruzione di opere pubbliche indispensabili, cercano di nascondere le loro colpe e le loro responsabilità dietro manifesti ridicoli quanto è ridicola – e pensa – l'offerta di dollari.




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