Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Pensioni nell'URSS (1952)

Nel corso della discussione al Senato della nuova legge sulla Previdenza Sociale, il ministro del lavoro Rubinacci ha affermato che con l'entrata in vigore delle nuove disposizioni per il trattamento delle pensioni in Italia sarebbe stato migliore di quello praticato in tutti gli altri Paesi, eccetto gli Stati Uniti e la Gran Bretagna e quindi anche di quello praticato nell'Unione Sovietica. E' vero ciò? (Otello Carpi – Genova)

           Ogni volta che parla un ministro, in Italia, una grande visione luminosa si apre dinnanzi agli occhi degli italiani; tutto è straordinariamente giusto e perfetto nel nostro Paese dopo questi anni di governo DC, tutto è ordinato e confortevole, siamo passati ai primi posti nella graduatoria della “civiltà occidentale” (di quella “orientale” inutile parlarne, quella, come è noto, è barbarie); l'unico guaio è costituito dalla presenza di quei milioni di comunisti, di socialisti, di democratici che, sciagurati, mostrano di non essere troppo convinti dei grandi successi della politica governativa. Le dichiarazioni di Rubinacci rientrano pertanto nel costume degli uomini del governo: Rubinacci è il propagandista del suo settore come Pella, Campilli, Vanoni, Aldisio, Pacciardi, ecc. sono i propagandisti dei loro rispettivi settori e tutti insieme sono i propagandisti delle americanate.
           A Rubinacci potremmo dare forse la palma della faccia tosta, poiché egli non si è accontentato di esaltare le meraviglie intere del nostro Paese, ma ha voluto fare comparazioni con altri paesi, giungendo ad affermare che il nostro sistema di assistenza sociale è ora più avanzato di quello che è in atto nell'Unione Sovietica. Una simile affermazione neanche nella più vieta propaganda dei Comitati civici era stata mai fatta, poiché la propaganda antisovietica cerca sempre accuratamente di sfuggire alla concretezza, essa parla sempre di dittatura politica, di terrore antireligioso, di distruzione della spiritualità umana, ecc. ecc., ma si guarda bene dal toccare i termini concreti della produzione, dei consumi, della disoccupazione, dei prezzi dei salari, dell'assistenza sociale, poiché qui noi non siamo di fronte ad argomentazioni astratte, ma di fronte a cifre. E le cifre parlano da sé.
           Non mi è certo possibile riferire tutti i dati del sistema delle pensioni nell'URSS, poiché si tratta di una complessa casistica che riguarda i diversi gradi di invalidità, le diverse categorie di lavoratori, le stesse qualità individuali dei lavoratori i quali – e ciò avviene solo nell'Unione Sovietica – anche agli effetti della pensione vedono riconosciute le loro particolari capacità di rendimento nel lavoro. Ad esempio un “Eroe del lavoro sovietico” gode di una riduzione di tempo nella maturazione del diritto pieno alla pensione, così come particolari benefici, anche a tale effetto, sono riconosciuti a chi ha combattuto per la difesa della patria come a chi si è applicato a studi superiori.
           Così pure il trattamento della pensione è integrato da sgravi di imposte, da riduzioni di tasse scolastiche per i figli e da assegnazioni in natura che vengono ad introdurre ulteriori elementi economici di grande rilievo non contenuti nelle tabelle di pensionamento.
           Basterà qui ricordare alcuni principi fondamentali che permettono di misurare quanto profondamente diversa sia la concezione dell'assistenza sociale in un regime socialista nei confronti di un regime capitalista.
           Nell'URSS tutte le assicurazioni sono a carico dello Stato, i versamenti vengono effettuati integralmente dalle amministrazioni e dalle aziende per cui tutte le assicurazioni e le altre forme di soccorso di cui godono i lavoratori rappresentano un vero e proprio supplemento di stipendio. Le assicurazioni sociali sono amministrate dai lavoratori stessi, direttamente dai loro sindacati, senza le costosissime costruzioni burocratiche che caratterizzano la nostra organizzazione previdenziale dirette, fra l'altro, alla creazione di veri e propri istituti che investono, talvolta, per fini tutt'altro che sociali, i fondi accumulati con le trattenute ai lavoratori. Le assicurazioni entrano in funzione dal primo giorno di occupazione del lavoratore, senza alcun periodo preliminare, così come le liquidazioni sono immediate, in modo che il lavoratore abbia la continuità perfetta nella raggiunta situazione economica.
           Le percentuali delle pensioni rispetto alla retribuzione – ed è superfluo precisare che le pensioni vengono calcolate per l'intera retribuzione e non su una così detta paga base che, come accade in Italia, costituisce generalmente una parte minima dell'intero salario – variano, ovviamente, secondo l'anzianità e secondo la qualità del lavoro, ma per numerosissimi casi la percentuale è del 100% del salario, limite che non è mai toccato nelle legislazioni dei paesi capitalistici.
           La questione di fondo però è che il pensionato sovietico è soprattutto un cittadino sovietico. Come tale egli gode di tutte le infinite provvidenze di cui godono i cittadini sovietici e che lo mettono in condizioni di soddisfare pienamente le fondamentali esigenze di ordine morale e materiale. L'abbandono del lavoro attivo non costituisce affatto una profonda trasformazione della situazione economica e sociale del lavoratore, le condizioni di vita permangono eguali, sicure e serene nella vecchiaia come nella giovinezza e nella maturità.
           In un punto Rubinacci ha ragione: vi è un'assicurazione sociale in Italia e in tutti gli altri paesi capitalistici che non esiste nell'Unione Sovietica. Si tratta dell'assicurazione contro la disoccupazione. Credo che tutti vorremmo che anche in Italia vi fosse una tale “deficienza”.




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