Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Prigionieri di guerra (1952)

Si torna a parlare sulla stampa reazionaria della sorte dei prigionieri italiani nell'URSS. Anche recentemente il Secolo XIX ha narrato l'”odissea” di un reduce. Ma non si potrebbero smentire una volta per sempre tutte quelle fandonie? (Bracciaferri e Custo – Levante)

           La questione dei prigionieri italiani nell'URSS è stata tante volte discussa, è stata oggetto di pubblicazioni, di processi, di comunicati ufficiali, di smentite, di interpellanze in Parlamento ecc., per cui non apparrebbe troppo necessario riprenderne i motivi.
           Ci siamo trovati di fronte, in Italia, a tanti casi di miseria morale e di ciniche espressioni dell'odio antisovietico, ma il fondo della bassezza e dell'inumanità è stato toccato certamente dalla vergognosa speculazione che la catena della stampa clerico-fascista ha condotto – e continua con ripugnante impudenza a condurre – sul dolore di tante mamme e di tante spose.
           In un primo tempo la campagna era stata centrata sulle persecuzioni e sulle vessazioni a cui sarebbero stati sottoposti i prigionieri di guerra negli “infernali campi siberiani”. Sono tornati i nostri fratelli sopravvissuti alla spaventosa tragedia della guerra fascista di aggressione all'Unione Sovietica, sono tornati perfettamente equipaggiati e in piena salute da quei famosi campi, hanno raccontato delle generosità e della fraternità del popolo e delle autorità sovietiche (gli stessi rapporti ufficiali dello Stato maggiore dell'esercito italiano – pag. 57 della pubblicazione “L'VIII Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don” - hanno dovuto esplicitamente riconoscere come la salvezza di tanti soldati italiani sia dipesa dalla fraterna premura del popolo e delle autorità sovietiche) e non si è più potuto parlare di torture dei campi di prigionia. Si è creato allora il “mistero” dei prigionieri trattenuti nell'Unione Sovietica, un mistero che è sembrato di facile costruzione ai corvi e alle jene della vecchia e nuova propaganda fascista, poiché nessuna statistica ufficiale potrà mai definire la sorte a cui furono spinti migliaia di soldati italiani, travolti nella tormenta della ritirata dell'inverno 1942.
           Non sono servite le dichiarazioni ufficiali del Governo Sovietico, non sono servite le stesse dichiarazioni dei generali Battisti, Recagno e Pascolini, trattenuti in un primo tempo, come era ben noto, per accertare le responsabilità dei Comandi nei crimini di guerra consumati sul territorio sovietico, e che al rientro in Patria hanno espressamente affermato che nell'URSS non vi sono più prigionieri di guerra.
           Perché allora, con una contemporaneità che denuncia la centralizzazione della propaganda, i giornali clericali e fascisti, le riviste delle bugie a rotocalco, hanno ripreso di nuovo la vergognosa campagna?
           Quale fatto nuovo può spiegare questo ritorno a macabri amori?
           Il fatto nuovo esiste ed è l'annuncio della campagna elettorale di primavera, è la squilla suonata dal prof. Gedda a da Padre Lombardi per la mobilitazione dei Comitati Civici, è il nuovo richiamo all'odio e alla menzogna lanciato da chi con l'odio e con la menzogna cerca di ritardare l'inesorabile giudizio della storia.
           Riappaiono così i falsi reduci, come l'ultimo da voi segnalato, la cui “odissea” è stata con tanta premura raccolta dal Secolo XIX nel numero del 5 febbraio scorso. Dice un sacco di cose quel tale Carmelo Rossini, tutte generiche però e nessuna provabile, salvo una che è la prova stessa delle sue menzogne. Dice il Rossini di essere caduto prigioniero in Russia il 27 aprile 1942. Ebbene, a quella data l'Armir si trovava ancora a Karkov, l'azione sul Don cominciò nell'agosto del 1942 e la terribile ritirata iniziò il 17 settembre dello stesso anno.
           Cosa faceva solo soletto sul Don il Rossini nell'aprile del 1942?
           Sempre menzogne, sempre falsità, di esse il popolo italiano saprà far giustizia scacciando i bari e i falsari dalla direzione del Paese.




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