Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Piano Fanfani (1952)

In una discussione un mio compagno di lavoro democristiano mi ha detto che il Piano Fanfani così come era stato presentato era ottimo, ma che poi, passato per una commissione parlamentare, è stato modificato. Come si sono comportati i comunisti? Se modifica c'è stata è stata a danno o a vantaggi di noi operai? (Armando Bruzzone – Sta Fossati – Genova Sestri)

           A tre anni esatti dal lancio del Piano Fanfani (la relativa legge infatti è del 28 febbraio 1949) più che riportarci alle modifiche che il primitivo progetto subì nel corso delle discussioni in Parlamento, più interessante potrebbe essere un primo bilancio dei risultati.
           Ti ricordo, comunque, che il testo ultimo della Legge Fanfani risultò molto diverso da quello di partenza e ciò per la tenace azione dell'opposizione democratica che riuscì a modificare sensibilmente l'impostazione del piano a favore delle grandi masse lavoratrici. Infatti, mentre il contributo a carico dello Stato fu fatto aumentare, si ottenne la riduzione del contributo a carico dei lavoratori al 0,60% delle retribuzioni mensili, al 0,40% per i capi famiglia con più di 3 persone a carico e fu raggiunta l'esenzione per i lavoratori occasionali e stagionali e per i malati. Inoltre venne respinto l'assurdo criterio dell'assegnazione per lotteria, introducendo precisi criteri di precedenza, in modo da eliminare quei caratteri di prestito forzoso e di gioco a tombola con i quali con grande disinvoltura il Piano era stato presentato. Ma le critiche dei comunisti e dei socialisti più che sulle modalità della legge, sulle quali in qualche modo si riuscì ad agire per meglio tutelare gli interessi dei lavoratori, si basavano sui concetti generali informatori del Piano e sulla sua insufficienza per la risoluzione del problema della casa.
           La legge si intitolò pomposamente “Piano di incremento dell'occupazione operaia e della costruzione di case per lavoratori”, precisando così la sua ambiziosa doppia finalità di strumento di lotta contro la disoccupazione e di lotta contro la crisi di alloggi. Dopo tre anni, la permanenza e l'acutizzarsi sia della crisi del lavoro – anche nel campo edilizio – sia della crisi degli alloggi, confermano quanto tenui fossero le illusioni con le quali il ministro Fanfani aveva tenuto a battesimo la sua creatura.
           Il Piano Fanfani ha inteso affrontare il problema della casa per i meno abbienti attraverso una tassazione diretta delle categorie lavoratrici interessate e dei rispettivi datori di lavoro, con una integrazione a carico dello Stato. Il Piano Fanfani non ha investito quindi il problema della casa per tutti gli italiani, ma solo per una parte di essi, ossia i lavoratori dell'industria, del commercio, dell'amministrazione, dei trasporti e dei servizi pubblici. Si tratta di cinque milioni di tassati su una popolazione attiva di 16 milioni: meno di un terzo di lavoratori sono dunque interessati al Piano Fanfani. Sono completamente esclusi, e ciò è particolarmente grave perché accentua quel distacco tra la città e la campagna che sempre ha pesato per la formazione di una profonda e unitaria coscienza nazionale, tutti i lavoratori dei campi di qualsiasi categoria e sono esclusi inoltre, e ciò definisce l'insufficienza sociale del provvedimento, tutti coloro che non sono reperibili fisicamente, ossia proprio quelle famiglie che costituiscono la grande maggioranza dei senza tetto e dei ricoverati in tuguri o in alloggi collettivi di fortuna.
           Ma nel settore stesso ben limitato su cui può agire il Piano – che è quindi lontano dall'essere un Piano nazionale per la costruzione di case – il problema rimane largamente insoluto. Il fabbisogno di vani in Italia è di un milione all'anno, dei quali 380.000 riguardano quella parte di popolazione che vorrebbe assistere il Piano Fanfani. Tale Piano ha previsto, diciamo previsto poiché la realizzazione è tutt'altra cosa, la costruzione di 900.000 vani in 7 anni, ossia 130.000 vani all'anno: 150.000 in meno del minimo indispensabile.
           Ma il discorso si farebbe più interessante, se lo spazio me lo permettesse, sugli sviluppi della realizzazione del Piano. Io non voglio qui riferirmi ai grossi scandali che hanno avuto come centro l'INA e su cui invano si è chiesta l'apertura di una inchiesta in Parlamento. Voglio riferirmi al profondo cambiamento che ha subito la situazione economica italiana in questi tre anni per effetto della politica di guerra del governo De Gasperi, di cui fa parte anche Fanfani.
           La congiuntura di preparazione alla guerra ha fortemente agito sulle armi, sui materiali da costruzione, sui metalli, sugli impianti, ecc., per cui i termini iniziali sono ora completamente spostati. E se Fanfani, attualmente alle prese con la demagogia agraria, potesse ritornare per un momento alla sua demagogia edilizia, avrebbe parecchie cose da dirci sul come vanno le faccende dell' “incremento dell'occupazione operaia e della costruzione delle case per i lavoratori”.
           Credo opportuno che il tuo amico democristiano sappia che l'opposizione democratica non si limita a far modificare delle leggi governative per gli interessi dei lavoratori. Essa fa molto di più: essa lotta per una politica di pace e di lavoro, senza la quale gli unici piani che vanno avanti sono quelli del riarmo, ossia i piani della miseria, della disoccupazione, della distruzione.




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