Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Tradizione (1952)

Perché noi socialisti accettiamo le tradizioni conservatrici di una società che vogliamo cambiare? Certo si tratta del problema delle alleanze, ma a me sembra un compromesso. (Adolfo Miletto, Via Bobbio 33-5)

           Permetti che ti esprima anzitutto un dubbio che ho avuto leggendo la tua lettera. Mi par di capire che tu concepisca la politica delle alleanze come una specie di macchiavellismo di occasione che si concretizza in concessioni o in tolleranze che la classe operaia è costretta a fare verso altre classi o verso particolari categorie per non trovarsi formalmente in contrasto con esse. La politica delle alleanze è invece uno dei pilastri del leninismo che, nell'azione contingente, si esprime nella ricerca di comuni interessi che, attraverso la lotta che trova all'avanguardia la classe operaia, devono trovare la giusta soddisfazione e che, nella prospettiva storica aperta dalla lotta per la conquista del socialismo, si inserisce come uno dei fattori fondamentali. La lotta della classe operaia per il socialismo è la lotta per il progresso di tutti, la politica delle alleanze risponde perciò non solo all'interesse della classe operaia ma anche a quello dei suoi alleati.
           Così pure il rispetto alle sane tradizioni del popolo italiano, costantemente espresso dai comunisti e dai socialisti, non è dettato da una tattica opportunistica, ma al contrario dalla chiara valutazione che di esse fanno i socialisti e i comunisti come manifestazioni conformi al modo di sentire e di pensare del popolo.
           Ho già avuto occasione di chiarire a qualche altro lettore che rivoluzione e tradizione non sono in termini antitetici e che non si costruisce un avvenire migliore distruggendo ciecamente il passato, ma raccogliendo lo sforzo delle precedenti generazioni e procedendo più avanti, verso un piano di vera giustizia e umanità.
           Ha scritto Gramsci: “Una generazione può essere giudicata dallo stesso giudizio che essa dà della generazione precedente, un periodo storico dal suo stesso modo di considerare il periodo da cui è stato preceduto. Una generazione che deprime la generazione precedente, che non riesce a vederne le grandezze e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in sé stessa, anche se assume pose gladiatorie e smania per la grandezza. E' il solito rapporto fra il grande uomo e il cameriere” (Passato e presente, Einaudi, 1951, pag. 102).
           Il compagno Togliatti ci ha detto che la nostra generazione è la generazione del socialismo, quella cui la storia ha assegnato il compito di edificare una nuova Italia. Una generazione che deve assolvere tale grande compito non può non saper valutare tutto quello che è stato creato dalle generazioni passate per identificarne la linea di sviluppo reale. Dice ancora Gramsci: “Ogni gruppo sociale ha una 'tradizione', un 'passato' e pone questo come il solo e totale passato. Quel gruppo che comprendendo e giustificando tutti questi 'passati', saprà identificare la linea di sviluppo reale, perciò contraddittorio, ma nella contraddizione passibile di superamento, commetterà 'meno errori', identificherà più elementi 'positivi' su cui far leva per creare nuova storia”. (Il materialismo storico, Einaudi, 1948, pag. 222).




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