Gelasio Adamoli - La direzione de "L'Unità" (1951-1957) - Lettere al Direttore


Letteratura nazionale (1951)

Perché sui periodici appaiono con frequenza racconti di autori stranieri, talvolta di valore discutibile? E' per ragioni d'ordine commerciale o per far conoscere i costumi e la mentalità di altri popoli? (Battistina Rambelli – Vico dietro Coro S. Cosimo) / Vorrei sapere perché in generale i romanzi d'appendice che vengono pubblicati dai giornali non sono di autore italiano. (A. Introini – Ge, Sturia)

           La risposta a queste due domande, che ho voluto abbinare nella trattazione poiché esse toccano uno stesso problema, è stata data, con la consueta profondità e chiarezza, da Antonio Gramsci nell'analisi che egli ha compiuto sulla letteratura popolare in Italia (“Letteratura e Vita nazionale”, Einaudi, 1950, Parte III).
           Voi, miei cari lettori, vi siete riferiti essenzialmente alla letteratura narrativa e alla editoria giornalistica, ma le questioni da voi sollevate si pongono negli stessi termini anche per l'editoria libraria e per tutti gli aspetti di una cultura nazionale popolare.
           L'egemonia della produzione straniera non si esaurisce nei racconti o nei romanzi di appendice pubblicati dai quotidiani, ma si manifesta anche nel campo del teatro, delle opere di divulgazione scientifica, di storia, di popolarizzazione dei fenomeni economici.
           Gramsci pone la domanda: Di chi è la colpa? E' colpa forse del popolo italiano che legge poco e legge male o è colpa degli autori italiani?
           Ma è forse il popolo italiano meno sensibile degli altri popoli ai problemi di una cultura nazionale o esso è stato tanto corrotto dagli indirizzi seguiti dagli editori italiani per cui la preferenza alla produzione straniera è ormai imposta da una radicata educazione (o ineducazione) intellettuale?
           Il fatto è che non è mai esistita in Italia una letteratura nazionale popolare, il fatto è che, come scrive Gramsci, “gli intellettuali non escono dal popolo, anche se accidentalmente qualcuno di essi è di origine popolare, non si sentono legati ad esso (a parte la retorica), non ne conoscono e non ne sentono i bisogni, le aspirazioni, i sentimenti diffusi; ma, nei confronti del popolo, sono qualcosa di staccato, di campato in aria, una casta, cioè, e non un'articolazione, con funzioni organiche del popolo stesso”. Non vi pare lapidaria l'espressione di Gramsci: “L'elemento intellettuale indigeno è più straniero degli stranieri di fronte al popolo-nazione?”
           Da quando scriveva Gramsci ad oggi, fermenti nuovi si sono manifestati anche nel campo della cultura nazionale e ciò per i grandi eventi storici che – come la guerra di liberazione – hanno creato nuove forme di unità popolare ed hanno portato molte forze dell'intelletto vicino alla possente realtà umana del popolo.
           Uno dei compiti che è assegnato alle forze del lavoro, storicamente mature per assumere le più alte responsabilità, è quello di creare le condizioni per la formazione di una letteratura nazionale-popolare, una letteratura che per essere espressione dell'animo, dei contenuti morali, delle aspirazioni, dei bisogni, delle lotte reali del popolo, raccolga veramente i valori nazionali e sappia quindi parlare non solo al popolo italiano ma a tutti i popoli.
           Il nostro giornale, da sempre, è al suo posto anche nella battaglia della cultura nazionale e raccoglie nelle sue colonne tutti gli autori italiani che non si siano staccati dalla realtà viva del popolo, ma anche il nostro giornale non può non tener conto di una situazione di fatto. La pubblicazione di opere di autori stranieri non c'è certo suggerita da considerazioni di ordine commerciale o dall'accettazione di un deleterio gusto di esterofilia che qualcuno erroneamente vuole attribuire al lettore italiano, ma dal fatto che questi autori stranieri, essendo “nazionali-popolari”, interpretano esigenze di un popolo, sia pure di tradizioni diverse dal nostro. Tipico è l'esempio fornito in proposito dalla letteratura russa dell'800, che ha espresso con un linguaggio universale il grande tormento del popolo russo. Nessun lettore di Tolstoi, di Dostojevsky o di Gogol pensa di tradire la cultura italiana leggendo con profonda emozione le opere immortali di quegli scrittori.
           Il veramente eccessivo amore alle firme straniere dimostrato dalla stampa reazionaria o dalle grandi riviste a sensazione, ha altre origini e altri scopi. Alla valutazione commerciale si aggiunge l'esigenza politica, evidentemente mai confessata, di utilizzare la specializzazione raggiunta da certe produzioni nel fissare e nel mantenere gli orientamenti cari alle classi dominanti e nella coltivazione di alcune grandi illusioni sui sistemi di vita creati dalla grande borghesia.




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